Изменить стиль страницы

«Ma perché ha questa forma?» chiese il presidente.

Il vicecomandante Malina sospirò; aveva già risposto a quella domanda parecchie volte.

«È il vecchio problema della tassellazione del piano: di ricoprire una qualsiasi superficie, cioè, con forme identiche» spiegò pazientemente. «Le forme possibili sono soltanto tre: quadrati, triangoli ed esagoni. Abbiamo scelto l’esagono per una questione di efficienza e perché una lastra di questa forma è più facile da maneggiare. Le lastre di ghiaccio — più di duecento, ciascuna del peso di seicento tonnellate — verranno assicurate le une alle altre così da formare uno scudo. Sarà una specie di sandwich di ghiaccio dello spessore di tre di queste lastre. Quando accelereremo tutte le lastre si fonderanno insieme formando un unico grande disco. O un cono molto ottuso, se preferisce.»

«Mi è venuta un’idea» disse il presidente con più entusiasmo di quanto avesse mostrato durante tutto il pomeriggio. «Su Thalassa non abbiamo mai potuto praticare il pattinaggio su ghiaccio. Era uno sport bellissimo…

E poi c’era un gioco che si chiamava hockey su ghiaccio, sebbene non sono sicuro che sia il caso di tornare a praticarlo, a giudicare dagli audiovisivi che ho visto. Ma sarebbe meraviglioso se voi riusciste a farci una pista di pattinaggio in tempo per le Olimpiadi. Crede che sia possibile?»

«Bisogna che ci rifletta» rispose il vicecomandante Malina senza grande convinzione. «È un’idea molto interessante. Bisogna che mi facciate sapere quanto ghiaccio vi serve.»

«Col massimo piacere. E inoltre abbiamo anche trovato il modo di utilizzare l’impianto quando a voi non servirà più.»

Uno scoppio improvviso permise al vicecomandante Malina di non rispondere al presidente. Erano cominciati i fuochi d’artificio, e per venti minuti il cielo sopra l’isola risplendette di sprazzi di luce d’ogni colore.

I Thalassani apprezzavano molto i fuochi d’artificio e approfittavano di ogni occasione per indulgere a questo piacere. Lo spettacolo comprendeva anche proiezioni laser ancora più spettacolari e molto meno pericolose, ma senza quell’odore di polvere nera che dava un tocco tutto particolare.

Terminati i festeggiamenti e tornati tutti i VIP sulla nave, il vicecomandante Malina disse pensieroso: «Il presidente è un uomo davvero imprevedibile, anche se ha un’idea fissa… Sono stufo di sentirlo parlare di quelle sue maledette Olimpiadi, però devo riconoscere che l’idea della pista di pattinaggio è buona davvero. Inoltre noi faremo un’ottima figura presso i Thalassani».

«Comunque, ho vinto la scommessa» s’intromise il comandante Lorenson.

«Di che scommessa si tratta?» chiese il capitano Bey.

Malina scoppiò in una risata.

«Sembra incredibile. Certe volte sembra che i Thalassani non sappiano cos’è la curiosità… danno tutto per scontato. Dovremmo sentirci lusingati, immagino, della fiducia che nutrono nella nostra tecnologia. Forse credono che abbiamo l’antigravità!

«È stato Loren a suggerire di non parlarne, e ha fatto bene. Al presidente Farradine non è nemmeno venuto in mente di chiedere quello che io avrei chiesto subito: cosa abbiamo intenzione di fare per mettere in orbita centocinquantamila tonnellate di ghiaccio?»

24. Archivio

Moses Kaldor era contentissimo di potersene stare per conto suo nella pace da cattedrale del Primo Atterraggio. Gli pareva di ritornare studente, di trovarsi di fronte a tutta l’arte e la conoscenza dell’umanità. Era un’esperienza assieme esaltante e deprimente: aveva a sua disposizione tutto un universo, ma anche dedicandovi l’intera vita avrebbe potuto esplorarne solo una minima parte, e questa consapevolezza rasentava la disperazione. Era come un affamato che si trovasse davanti a un’immensa tavola imbandita che si stendeva a perdita d’occhio, un banchetto così enorme da far perdere l’appetito a chiunque.

Eppure questa immensa ricchezza di sapienza e di cultura era solo una percentuale minima del patrimonio accumulato dall’umanità. Gran parte di ciò che Moses Kaldor conosceva e amava non c’era e non per caso, lo sapeva benissimo, ma per una scelta deliberata.

Mille anni prima, alcuni uomini di genio e di buona volontà avevano riscritto la Storia e, fatto lo spoglio di tutte le biblioteche della Terra, avevano stabilito cosa salvare e cosa invece dare alle fiamme. Il criterio di scelta era semplice, sebbene talvolta di difficile applicazione. Un’opera letteraria, una testimonianza del passato, sarebbe stata messa in memoria nel computer di bordo delle navi inseminatrici solo se poteva servire a facilitare la sopravvivenza e la stabilità sociale degli uomini sui nuovi mondi.

Era un compito, ovviamente, insieme impossibile e doloroso. Le commissioni selezionatrici avevano scartato con le lacrime agli occhi i Veda, la Bibbia, il Tripitaka, il Corano e tutta l’immensa produzione — narrativa e saggistica — che si fondava su queste opere. Malgrado la bellezza e la sapienza contenute in tali libri, non si poteva permettere che infettassero i pianeti vergini con i veleni antichi dell’odio di religione, della credenza nel sovrannaturale, e dei pii vaniloqui da cui innumerevoli miliardi di uomini avevano un tempo tratto conforto — un conforto pagato con l’ottenebramento della mente.

In quella grande epurazione scomparvero anche praticamente tutte le opere dei grandissimi romanzieri, dei poeti, dei drammaturghi, che comunque non avrebbero più avuto significato al di fuori del loro contesto culturale e filosofico. Omero, Shakespeare, Milton, Tolstoi, Melville, Proust e gli ultimi grandi narratori fioriti poco prima che la rivoluzione elettronica facesse scomparire la pagina stampata: di tutti costoro sopravvissero soltanto alcune centinaia di migliaia di brani attentamente selezionati. Venne escluso tutto ciò che riguardava guerre, delitti, violenza, passioni distruttive. Se la nuova umanità — di nuova e forse migliore progettazione — che sarebbe succeduta all’Homo sapiens avesse conosciuto queste cose, senza dubbio avrebbe creato a sua volta una nuova letteratura legata a quei modelli. Ma non era il caso di dare a questi uomini nuovi un incoraggiamento prematuro.

La musica — opera lirica esclusa — se l’era cavata meglio, come del resto le arti visive. Tuttavia, la massa del materiale era talmente enorme che una selezione era comunque indispensabile, per quanto a volte arbitraria. Su molti mondi le future generazioni si sarebbero interrogate sulle prime trentotto sinfonie di Mozart, sulla Seconda e la Quarta di Beethoven, e sulle sinfonie di Sibelius dalla Terza alla Sesta comprese.

Moses Kaldor era perfettamente consapevole della sua responsabilità e anche della sua inadeguatezza — dell’inadeguatezza di chiunque, fosse anche un uomo di genio — nei confronti del compito che l’attendeva. A bordo della Magellano, immagazzinati nelle gigantesche banche dati, vi erano moltissime cose che la popolazione di Thalassa ignorava completamente, gran parte delle quali avrebbe accolto con gioia anche se non poteva comprenderle a fondo. Il meraviglioso rifacimento dell’Odissea del venticinquesimo secolo, i terribili romanzi di guerra che ancora turbavano dopo mezzo millennio di pace, le grandi tragedie di Shakespeare nella miracolosa traduzione in neolingua di Feinberg, il Guerra e Pace di Lee Chow — ci sarebbero volute ore e ore, se non giorni, soltanto per farne un elenco.

Certe volte, quand’era nella biblioteca del complesso del Primo Atterraggio, Kaldor provava la tentazione di fare il dio con i Thalassani, ragionevolmente felici e tutt’altro che ingenui. Confrontava i listati delle banche dati thalassane con quelli delle banche dati dell’astronave, segnandosi ciò che era stato espunto o riassunto. Sebbene fosse per principio contrario a ogni forma di censura, spesso doveva riconoscere la saggezza con cui i selezionatori avevano operato, saggezza opportuna se non altro quando la colonia era ancora giovane. Ma adesso che si era saldamente stabilita, forse qualche inquietudine, un pizzico di creatività, sarebbe anche potuta riuscire utile…