Tutto era coordinato e gestito dal Direttorio. Sentivo continuamente citato questo termine. In ogni discussione da bar che vertesse su qualche affare o sul semplice e solito lamento per la mancanza di lavoro: "È il Direttorio che ha voluto così". "È il Direttorio che dovrebbe muoversi e fare le cose ancora più in grande." Sembravano frammenti di un discorso d'epoca napoleonica. Direttorio era il nome che i magistrati della DDA di Napoli avevano dato a una struttura economica, finanziaria e operativa composta da imprenditori e boss rappresentanti di diverse famiglie camorristiche dell'area nord di Napoli. Una struttura con compiti squisitamente economici. H Direttorio — come l'organo collegiale del Termidoro francese — rappresentava il reale potere dell'organizzazione più delle batterie di fuoco e dei settori militari.

Facevano parte del Direttorio i clan afferenti all'Alleanza di Secondigliano, il cartello camorristico che raccoglieva diverse famiglie: Licciardi, Contini, Maliardo, Lo Russo, Boc-chetti, Stabile, Prestieri, Bosti, e poi, a un livello di maggiore autonomia, i Sarno e i Di Lauro. Un territorio egemonizzato da Secondigliano, Scampia, Piscinola, Chiaiano, Miano, San Pietro a Paterno sino a Giugliano e Ponticelli. Una struttura federativa di clan che progressivamente si sono resi sempre più autonomi lasciando sfaldare definitivamente la struttura organica dell'Alleanza. Per la parte produttiva, nel Direttorio sedevano imprenditori di diverse aziende come la Valent, la Vip Moda, la Vocos, la Vitec, che confezionavano a Casoria, Arzano, Melito, i falsi prodotti di Valentino, Ferré, Versace, Armarti poi rivenduti in ogni angolo della terra. L'inchiesta del 2004, coordinata dal pm Filippo Beatrice della DDA di Napoli, aveva portato a scoprire l'intero impero economico della camorra napoletana. Tutto era partito da un dettaglio, uno di quelli che possono passare inosservati. Un boss di Secondigliano era stato assunto in un negozio di abbigliamento in Germania, il Nenentz Fashion di Dresdner Strasse 46, a Chemnitz. Un evento strano, insolito. In realtà il negozio, intestato a un prestanome, era di sua proprietà. Seguendo questa traccia venne fuori l'intera rete produttiva e commerciale dei clan secondiglianesi. Le indagini della DDA di Napoli erano riuscite, attraverso i pentiti e le intercettazioni, a ricostruire tutte le catene commerciali dei clan dai magazzini ai negozi.

Non c'era luogo in cui non avessero impiantato i loro affari. In Germania negozi e magazzini erano presenti ad Amburgo, Dortmund, Francoforte. A Berlino c'erano i negozi Laudano, Gneisenaustrasse 800 e Witzlebenstrasse 15, in Spagna al Paseo de la Ermita del Santo 30, a Madrid, e anche a Barcellona; in Belgio a Bruxelles, in Portogallo a Oporto e Boavista; in Austria a Vienna, in Inghilterra un negozio di giacche a Londra, in Irlanda a Dublino. In Olanda ad Amsterdam, e poi in Finlandia e Danimarca, a Sarajevo e a Belgrado. Attraversando l'Atlantico i clan secondiglianesi avevano investito sia in Canada, che negli Stati Uniti, arrivando in Sud America. Al 253 Jevlan Drive, a Montreal e a Wood-bridge, Ontario; la rete USA era immensa, milioni di jeans erano stati venduti nei negozi di New York, Miami Beach, New Jersey, Chicago, monopolizzando, quasi totalmente, il mercato in Florida. I negozianti americani, i proprietari dei centri commerciali volevano trattare esclusivamente con mediatori secondiglianesi. Capi d'abbigliamento dell'alta moda, dei grandi stilisti a prezzi accessibili, permettevano che i loro centri commerciali, le loro shopping mail si gonfiassero di persone. I marchi impressi sui tessuti erano perfetti.

In un laboratorio nella periferia di Napoli è stata scoperta una matrice per poter stampare la gorgone di Versace. A Se-condigliano si era sparsa la voce che il mercato americano era dominato dai vestiti del Direttorio, e questo avrebbe reso le cose più facili per i ragazzi che volevano andare in USA a fare gli agenti commerciali, seguendo il successo dei jeans della Vip moda che riempivano i negozi in Texas dove venivano venduti come jeans Valentino.

Gli affari si espandevano anche sull'altro emisfero. In Australia il Moda Italiana Emporio a New South Wales, 28 Ramsay Road, Five Dock, era divenuto uno dei più ricercati luoghi per comprare abiti eleganti, e anche a Sydney avevano magazzini e negozi. In Brasile, a Rio de Janeiro e Sào Paulo i secondiglianesi egemonizzavano il mercato dell'abbigliamento. A Cuba avevano in progetto di aprire un negozio per i turisti europei e americani, e in Arabia Saudita e nel Magh-reb avevano iniziato a investire da tempo. Il meccanismo di distribuzione che il Direttorio attuava era quello dei magazzini. Così li chiamavano nelle intercettazioni telefoniche: sono veri e propri centri di smistamento di uomini e merci. Depositi dove arrivavano ogni tipo di abiti. I magazzini erano il centro della raggiera commerciale dove giungevano gli agenti che prelevavano la merce da distribuire ai negozi dei clan o ad altri dettaglianti. La logica veniva da lontano. Dai magliari: i venditori napoletani che dopo la Seconda guerra avevano invaso mezzo mondo macinando chilometri, portando in borse stracariche calzini, camicie, giacche. Applicando su scala più vasta la loro antica esperienza mercantile, i magliari si sono trasformati in veri e propri agenti commerciali in grado di vendere ovunque: dai mercati rionali ai centri commerciali, dai parcheggi alle stazioni di servizio. I magliari più capaci potevano fare il salto di qualità e tentare di vendere grosse partite di vestiti direttamente ai dettaglianti. Alcuni imprenditori, secondo le indagini, organizzavano la distribuzione dei falsi, offrendo assistenza logistica agli agenti, ai "magliari". Anticipavano le spese di viaggio e di soggiorno, fornivano furgoni e vetture, in caso di arresto o sequestro dei capi garantivano l'assistenza legale. E ovviamente incassavano il danaro delle vendite. Affari che fatturavano per ogni famiglia giri annuali di circa trecento milioni di euro.

Le griffe della moda italiana hanno cominciato a protestare contro il grande mercato del falso gestito dai cartelli dei secondiglianesi soltanto dopo che l'Antimafia ha scoperto l'intero meccanismo. Prima di allora non avevano progettato una campagna pubblicitaria contro i clan, non avevano mai fatto denunce, né avevano informato la stampa rivelando i meccanismi di produzione parallela che subivano. È difficile comprendere perché le griffe non si siano mai esposte contro i clan. I motivi potrebbero essere molteplici. Denunciare il grande mercato significava rinunciare per sempre alla manodoperà a basso costo che utilizzavano in Campania e Puglia. I clan avrebbero chiuso i canali d'accesso al bacino delle fabbriche tessili del napoletano e ostacolato i rapporti con le fabbriche nell'est Europa e in Oriente. Denunciare avrebbe compromesso migliaia di contatti di vendita nei negozi, siccome moltissimi punti commerciali erano direttamente gestiti dai clan. La distribuzione, gli agenti, e i trasporti in molte parti sono dirette emanazioni delle famiglie. Denunciando avrebbero subito impennate dei prezzi nella distribuzione. I clan del resto non commettevano un crimine che andava a rovinare l'immagine delle griffe, ma ne sfruttavano semplicemente il carisma pubblicitario e simbolico. Producevano i capi non storpiandoli, non infangavano qualità o modelli. Riuscivano a non far concorrenza simbolica alle griffe, ma a diffondere sempre di più prodotti i cui prezzi di mercato li avevano resi proibitivi al grande pubblico. Diffondevano il marchio. Se quasi nessuno indossa più i capi, se finiscono per essere visibili solo addosso ai manichini di carne delle passerelle, il mercato si spegne lentamente e anche il prestigio si indebolisce. Del resto nelle fabbriche napoletane venivano prodotti abiti e pantaloni falsi di taglie che le griffe, per questioni d'immagine, non producono. I clan invece non si ponevano questioni d'immagine dinanzi alla possibilità di profitto. I clan secondiglianesi attraverso il falso-vero e il danaro del narcotraffico erano riusciti a comprare negozi e centri commerciali, dove sempre più spesso i prodotti autentici e quelli vero-falsi venivano mischiati, impedendo ogni distinzione. Il Sistema aveva in qualche modo sostenuto l'impero della moda legale, nonostante l'impennata dei prezzi, anzi sfruttando la crisi del mercato. Il Sistema, guadagnandoci cifre esponenziali, aveva continuato a diffondere ovunque nel mondo il made in Italy.