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— Vero — dice de Soya. — Però ci sono buone probabilità che la nave sia danneggiata.

— Sì, ma fino a che punto? — obietta il sergente. — Poteva volare? Autoripararsi durante il volo? Raggiungere una base officina Ouster? Qui non siamo molto lontano dalla Periferia.

— Oppure la bambina ha mandato via la nave e ha varcato il portale seguente — suggerisce Rettig.

— Ammesso che uno degli altri portali funzioni — dice stancamente de Soya. — E che su Vettore Rinascimento non si sia trattato di un semplice colpo di fortuna.

Gregorius posa le mani sulle ginocchia. — Sì, signore, è assurdo. Al confronto, cercare un ago in un pagliaio, come si usava dire, sarebbe un gioco da bambini.

Il Padre Capitano de Soya guarda dal finestrino della navetta. Alte felci si piegano nel vento silenzioso. — Ho la sensazione che la bambina segua il vecchio Teti. Ritengo che userà i teleporter. Non so come… forse con la macchina volante che qualcuno ha adoperato per portarla fuori dalla Valle delle Tombe del Tempo, oppure con un canotto gonfiabile o con una barca rubata… ma penso che percorrerà il Teti.

— Cosa possiamo fare qui? — domanda Rettig. — Se è già passata, l’abbiamo mancata. Se non è ancora giunta… be’, potremmo aspettarla in eterno. Se avessimo cento navi Arcangelo per portare soldati su ognuno di quei mondi…

De Soya annuisce. Nelle sue ore di preghiera, spesso si distrae al pensiero di quanto sarebbe più facile il suo compito, se i corrieri Arcangelo fossero semplici navi robotizzate: allora potrebbero traslare nei sistemi della Pax, rendere nota l’autorità del diskey papale e ordinare la ricerca, poi balzare fuori sistema senza neppure decelerare. Per quanto ne sa lui, la Pax non costruisce navi robotizzate: l’odio della Chiesa per le IA e la dipendenza dal contatto umano lo vietano. Per quanto ne sa lui, esistono solo tre navi corriere di classe Arcangelo, la Michele, la Gabriele (quella che per prima gli ha portato il messaggio) e la sua attuale Raffaele. Nel sistema di Vettore Rinascimento aveva voluto mandare in ricerca l’altra nave corriere, ma la Michele aveva urgenti impegni per il Vaticano. Dal punto di vista logico, de Soya aveva capito perché quella ricerca era sua e solo sua. Ma hanno consumato quasi tre settimane per esaminare solo due pianeti. Una nave Arcangelo robotizzata potrebbe balzare in duecento sistemi e trasmettere l’allarme in meno di dieci giorni standard… invece, a questo ritmo, a lui e alla Raffaele occorreranno quattro o cinque anni standard. L’esausto Padre Capitano ha voglia di ridere.

— C’è sempre la sua nave — dice vivacemente. — Se proseguono senza la nave, hanno due possibilità: inviare la nave da qualche altra parte o abbandonarla in uno dei mondi del Teti.

— Lei parla al plurale, signore — dice piano Gregorius. — È sicuro che la bambina non sia da sola?

— Su Hyperion qualcuno l’ha tolta dalla nostra trappola — risponde de Soya. — Con lei ci sono altri.

— Forse un intero equipaggio Ouster — dice Rettig. — Ormai sarebbero a metà strada dallo Sciame, dopo avere lasciato la bambina su uno qualsiasi di quei pianeti. Oppure potrebbero portarla con loro.

De Soya alza la mano per imporre silenzio: hanno già dibattuto a lungo questo punto. — Penso che la nave sia stata colpita e danneggiata — dichiara. — Cerchiamo la nave e forse quella ci condurrà alla bambina.

Gregorius indica la giungla. Fuori piove. — Abbiamo sorvolato l’intero tratto di fiume fra i portali. Nessun segno di una nave. Appena arriviamo nel prossimo sistema della Pax, possiamo inviare qui i soldati della guarnigione per tenere d’occhio i portali.

— Sì — dice il Padre Capitano de Soya — ma con un debito temporale di otto o nove mesi. — Guarda la pioggia rigare il parabrezza e i finestrini laterali. — Frugheremo il fiume.

— Cosa ? — esclama il lanciere Rettig.

— Se tu avessi una nave danneggiata e dovessi abbandonarla, non la nasconderesti? — replica de Soya.

Le due Guardie Svizzere fissano il comandante. De Soya si accorge che le dita dei suoi uomini tremano. Le ripetute risurrezioni influiscono anche su di loro.

— Scandaglieremo col radar il fiume e per quanto possibile anche la giungla — dice de Soya.

— Occorrerà almeno un altro giorno… — comincia Rettig.

De Soya annuisce. — Diremo al caporale Kee di ordinare alla nave di scandagliare col radar la giungla per una fascia di duecento chilometri lungo le rive. Noi useremo la navetta per frugare il fiume. Abbiamo a bordo un radar meno sofisticato, ma dobbiamo coprire meno spazio.

Gli esausti soldati possono solo annuire e ubbidire.

Nella seconda ansa del fiume fanno una scoperta: un oggetto metallico, di grandi dimensioni, in una profonda pozza a solo qualche chilometro a valle del primo portale. La navetta resta sospesa sull’oggetto, mentre de Soya chiama su banda compatta la Raffaele. «Caporale, ora indaghiamo. Voglio che la nave sia pronta a colpire quest’oggetto entro tre secondi dal mio ordine… ma solo su mio ordine!»

«Ricevuto, signore» trasmette Kee.

De Soya tiene sospesa la navetta, mentre Gregorius e Rettig indossano l’armatura, approntano gli utensili necessari e passano nella camera stagna, il cui portello è già aperto. — Andate — dice de Soya.

Il sergente Gregorius salta giù e il sistema EM della sua tuta entra in funzione proprio un attimo prima che lui tocchi l’acqua. Il sergente e il lanciere planano sul fiume, tenendo pronte le armi.

«Abbiamo sul visore tattico l’immagine del radar di profondità» comunica Gregorius su banda compatta.

«I vostri ritorni video sono buoni» dice de Soya, dal sediolo di comando. «Iniziate l’immersione.»

I due uomini si abbassano, toccano la superficie del fiume, scompaiono sott’acqua. De Soya fa virare la navetta in modo da guardare dalla bolla di destra: il fiume è verde scuro, ma sotto la superficie si scorge il luccichio delle torce applicate sui caschi. «Circa otto metri sotto la superficie» comunica de Soya.

«Trovato» dice il sergente.

De Soya guarda il monitor. Vede fanghiglia turbinante, un pesce con molte branchie che schizza via dalla luce, uno scafo metallico ricurvo.

«C’è un portello aperto» riferisce Gregorius. «La nave è in gran parte sepolta nel fango, ma dal poco che vedo, lo scafo pare delle dimensioni giuste. Rettig rimane fuori. Io entro.»

De Soya prova l’impulso di augurargli "Buona fortuna!" ma si trattiene. Ormai sono insieme da tempo, quanto basta per sapere cos’è appropriato per ciascuno di loro. De Soya orienta la navetta e prepara il rozzo cannone al plasma che rappresenta l’unico armamento della piccola nave.

Il ritorno video s’interrompe appena Gregorius varca il portello. Passa un minuto. Due. Ancora due minuti… e de Soya in pratica scalpita sul sediolo di comando. Quasi s’aspetta di vedere la nave balzare fuori dell’acqua e artigliare lo spazio in un disperato tentativo di fuga.

«Lanciere?» chiama.

«Comandi, signore» risponde Rettig.

«Niente da Gregorius?»

«Nossignore. Credo che lo scafo blocchi la banda compatta. Aspetto altri cinque minuti e… Un momento, signore. Vedo qualcosa.»

Grazie al video di ritorno del lanciere, anche de Soya vede nel buio dell’acqua torbida il casco, le spalle, le braccia del sergente Gregorius emergere dal portello. La lampada sul casco del sergente illumina alghe e fanghiglia; il fascio luminoso ondeggia e per un attimo acceca la telecamera di Rettig.

«Padre Capitano de Soya, non è la nave giusta, signore» brontola Gregorius, solo un tantino a corto di fiato. «Credo che sia uno degli antichi yacht polivalenti usati dai ricchi al tempo della Rete. Fungevano anche da sommergibili… e potevano anche volare un poco, credo.»

De Soya lascia uscire il fiato. «Perché è sul fondo, sergente?»

La sagoma in armatura alza il pollice, rivolgendosi a Rettig, e i due risalgono in superficie. «Credo che l’abbiano affondato deliberatamente, signore» risponde Gregorius. «Ci sono almeno dieci scheletri a bordo… forse dodici. Due di bambini. Come dicevo, signore, quell’affare era adatto a galleggiare su ogni oceano, anche a fungere da sommergibile se necessario, quindi non è possibile che tutti i portelli si siano aperti accidentalmente, signore.»