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La bambina gli si accosta, gli tocca la spalla, e mormora… in qualche modo si fa udire al di sopra degli ululati del vento e di quelli, peggiori, di persone agonizzanti che provengono dagli auricolari… tre parole: — Andrà tutto bene.

Il Padre Capitano de Soya si sente soffuso di benessere in tutto il corpo, ha la mente piena di gioia. Piange.

La bambina è scomparsa. De Soya vede una figura gigantesca stagliarsi su di lui, serra i pugni, cerca d’alzarsi, pur sapendo che è inutile: la creatura è tornata per ucciderlo.

— Calma, calma! — grida il sergente Gregorius. Aiuta de Soya ad alzarsi. Il Padre Capitano non sta in piedi… la gamba sinistra perde sangue e non lo sostiene… perciò Gregorius lo regge con un braccio e con la lancia a energia spazza l’intera zona.

— Non sparare! — grida de Soya. — La bambina…

— Sparita — dice il sergente Gregorius. Continua a fare fuoco. Una lancia di pura energia frusta lo scoppiettante turbine di sabbia. — Maledizione! — impreca Gregorius. Si mette in spalla il Padre Capitano. Le urla su tutta la rete di comunicazione diventano isteriche.

Il cronometro e la bussola mi dicono che sono quasi arrivato. Niente lo farebbe pensare. Volo ancora alla cieca, sempre aggrappato al tappeto sobbalzante che sceglie in quale diramazione dell’infinito labirinto lanciarmi a tutta velocità. Non mi sono accorto che i tunnel risalgano verso la superficie, ma a dire il vero mi sono accorto di ben poco, a parte il senso di vertigine e di claustrofobia.

Nelle ultime due ore ho tenuto il visore notturno e con la torcia laser aperta al massimo ho illuminato il percorso. A trecento chilometri all’ora, le pareti di pietra sfrecciano con una rapidità da far paura. Preferisco vederle sfrecciare, anziché stare al buio.

Ho ancora il visore, quando la prima luce mi acceca. Mi tolgo gli occhiali, li metto in una tasca del giubbotto e batto le palpebre per eliminare le immagini residue. Il tappeto hawking mi proietta verso un rettangolo di pura luce.

Il vecchio poeta diceva che la Terza Tomba Grotta è rimasta chiusa per più di due secoli e mezzo. Dopo la Caduta, i portali di tutte le Tombe del Tempo sono stati chiusi, ma la Terza Tomba Grotta in realtà era già chiusa da una parete di roccia interposta tra il portale e il Labirinto. Ormai da alcune ore m’aspettavo d’andare a sbattere contro quella parete a trecento chilometri all’ora.

Il rettangolo di luce s’ingrandisce rapidamente. Mi accorgo che da qualche tempo il tunnel procede in salita: qui sale in superficie. Sono lungo e disteso sul tappeto hawking, lo sento rallentare mentre giunge al termine del piano di volo programmato. — Bel lavoro, vecchio mio — dico ad alta voce, per la prima volta dopo quell’interludio di grida, tre ore e mezzo fa.

Tengo la mano sui fili d’accelerazione, timoroso di far rallentare a passo d’uomo il tappeto proprio qui, dove sono destinato a essere un facile bersaglio. Avevo detto che solo un miracolo avrebbe impedito alle Guardie Svizzere di spararmi addosso; il poeta me ne aveva promesso uno. Ci siamo.

Sabbia turbina nell’apertura della tomba, copre come cascata asciutta il vano. Sarebbe questo, il miracolo? Mi auguro di no. I soldati possono vedere con facilità anche in una tempesta di sabbia. Fermo il tappeto al limitare del vano, prendo dallo zaino un fazzoletto e gli occhiali da sole, col fazzoletto mi copro naso e bocca, torno a distendermi bocconi, poso le dita sui disegni di volo e premo i fili d’accelerazione.

Il tappeto hawking varca il portale ed esce all’aria aperta.

Scatto a zigzag sulla destra, facendo alzare e abbassare il tappeto in una rapida manovra evasiva, pur sapendo che simili tentativi sono inutili contro armi a ricerca automatica del bersaglio. Non importa… l’istinto di conservazione ha la meglio sulla logica.

Non vedo niente. La tempesta è così violenta che a due metri del bordo del tappeto tutto è oscurato. È una pazzia… con il vecchio poeta non abbiamo mai considerato la possibilità che qui ci fosse una tempesta di sabbia. Ignoro perfino a quale altezza mi trovo.

All’improvviso un arco rampante affilato come rasoio passa a meno d’un metro sotto il tappeto lanciato a grande velocità; subito dopo, passo io sotto un altro puntello metallico munito di barbi; capisco d’essere finito quasi contro il Palazzo dello Shrike. Punto proprio nella direzione sbagliata, sud, e invece mi devo dirigere all’estremità nord della Valle. Guardo la bussola, ho la conferma dell’errore, faccio girare il tappeto. Dalla fuggevole occhiata al Palazzo dello Shrike calcolo che il tappeto voli a circa venti metri da terra. Fermo il tappeto, scopro che è sballottato dal vento, mi abbasso come su di un ascensore fino a toccare la roccia spazzata dai turbini. Poi mi alzo a tre metri, mantengo questa quota e punto dritto a nord, a velocità di poco superiore al passo d’uomo.

Dove saranno i soldati?

Come in risposta alla domanda inespressa, accanto a me saettano sagome scure in armatura da guerra. Ho un sussulto, quando mettono in funzione le barocche lance a energia e i tozzi fucili a fléchettes, ma capisco che non sparano a me. Sparano dietro di loro. Guardie Svizzere in fuga! Non ho mai sentito una cosa simile.

A un tratto m’accorgo che, sotto l’ululato del vento, la Valle risuona di grida umane. Non capisco come sia possibile… in una simile tempesta, i soldati terrebbero l’elmetto ben chiuso e i visori calati. Ma le urla ci sono, le odo benissimo.

Un jet, o skimmer, romba all’improvviso in alto, a non più di dieci metri da me, con i cannoni automatici che sparano da tutt’e due i lati (rimango vivo solo perché mi trovo proprio sotto) e sono costretto a frenare di colpo, perché di colpo la tempesta davanti a me avvampa per una terribile esplosione di luce e di calore. Lo skimmer, jet o chissà cosa, si è schiantato contro una delle tombe più avanti. Il Monolito di Cristallo, immagino, o la Tomba di Giada.

Altri spari alla mia sinistra. Punto a destra, poi di nuovo a nordovest, nel tentativo di girare intorno alle tombe. Fulmini di plasma infuocato squarciano la tempesta. Stavolta qualcuno spara davvero su di me! Spara e mi manca? Com’è possibile?

Non aspetto di scoprirlo e faccio abbassare il tappeto hawking come un ascensore superveloce. Sbatto a terra e rotolo di lato, mentre fulmini d’energia ionizzano l’aria, meno di venti centimetri sopra la mia testa. Mentre rotolo, la bussola inerziale, ancora appesa al cordoncino che ho al collo, mi sbatte in viso. Non ci sono massi dietro cui nascondersi, non ci sono rocce; qui la sabbia è una distesa piatta. Cerco di scavarmi con le dita una buca, mentre fulmini azzurrini ricamano l’aria sopra la mia testa. Nugoli di fléchettes saettano in alto, con quel caratteristico fruscio simile al rumore di uno strappo. Se mi fossi trovato in volo, a quest’ora io e il tappeto hawking saremmo ridotti a minuzzoli.

Qualcosa di gigantesco è fermo a meno di tre metri da me nel turbinio di sabbia. Sta a gambe larghe, ben piantate. Pare un gigante in corazza da guerra rivestita di punte uncinate… un gigante con troppe braccia. Un fulmine di plasma lo colpisce, per un attimo mette in risalto i contorni della figura tutta punte. La figura non si fonde né cade né vola in pezzi.

Impossibile. Fottutamente impossibile. Una parte della mia mente nota con distacco che penso in termini volgari, come ho sempre fatto durante un combattimento.

L’enorme figura è scomparsa. Ci sono altre grida alla mia sinistra, esplosioni proprio davanti a me. Come cazzo dovrei trovare la bambina in mezzo a questo massacro? E se ci riesco, come ritrovo la via per la Terza Tomba Grotta? L’idea… il Piano… era di raccogliere al volo Aenea approfittando del miracolo/diversivo promesso dal vecchio poeta, correre a razzo di nuovo nella Terza Grotta e dare il via alla parte conclusiva del programma di volo automatico per i trenta chilometri di fuga verso Castel Crono sul bordo della Briglia, dove A. Bettik e la nave spaziale dovrebbero aspettarmi fra… tre minuti.