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Durante una sosta per sciogliere il ghiaccio usando il raggio della torcia laser regolato alla massima ampiezza e riempire d’acqua una delle borracce, passai agli altri delle tavolette di cioccolata e dissi: — Ormai non manca molto.

— Non manca molto a che cosa? — domandò Aenea, da sotto il berretto che pareva una cresta di brina e di ghiaccio. — Ancora non possiamo essere vicino alla superficie… non ci siamo arrampicati fin lì.

— A qualcosa d’interessante — risposi. Mentre parlavo, il vapore del respiro mi si gelò sul davanti del giubbotto e sulla barba di qualche giorno. Sapevo che dalle sopracciglia mi pendevano ghiaccioli.

— D’interessante — ripeté Aenea, in tono dubitativo. Potevo capirla: finora le cose "interessanti" avevano fatto del proprio meglio per ucciderci.

Un’ora dopo, durante una pausa per cucinare un po’ di cibo sul termocubo (bisognò sistemarlo con prudenza in modo che, mentre scaldava il pentolino di stufato, non sciogliesse il pavimento) consultai la bussola inerziale per avere un’idea della strada percorsa e dell’altezza raggiunta; in quel momento A. Bettik esclamò: — Zitti!

Tutt’e tre trattenemmo il respiro per quelli che ci parvero minuti. Alla fine Aenea bisbigliò: — Che c’è? Non sento niente.

Era già un miracolo che riuscissimo a sentirci l’un l’altro, anche se gridavamo, tanto ogni testa era avvolta da sciarpe e da passamontagna ricavati alla bell’e meglio.

A. Bettik corrugò la fronte e col dito sulle labbra ci ammonì a fare silenzio. Dopo un momento bisbigliò: — Passi. Vengono da questa parte.

39

Su Pacem, il principale centro d’interrogatori per il Santo Romano Uffizio dell’Inquisizione Universale non si trova nel Vaticano vero e proprio, ma nella grande costruzione di pietra detta Castel Sant’Angelo, una massiccia fortezza circolare iniziata nell’a.D. 135 per essere il mausoleo di Adriano, collegata nel 271 alle mura aureliane e divenuta la più importante roccaforte di Roma e uno dei pochi edifici di quella città trasferiti con il Vaticano, quando la Chiesa spostò dalla Vecchia Terra la propria sede, negli ultimi giorni prima del collasso del pianeta nel buco nero. Il castello, in realtà un monolito conico circondato da un fossato, divenne importante per la Chiesa durante la peste del 587, quando Gregorio il Grande, mentre guidava una processione per chiedere a Dio la fine della pestilenza, ebbe la visione dell’arcangelo Michele in cima a quel mausoleo. In seguito Castel Sant’Angelo diede rifugio a Papi minacciati dal popolino inferocito, ospitò nelle sue umide celle e nelle stanze di tortura supposti nemici della Chiesa come Benvenuto Cellini e, nei suoi tremila anni d’esistenza, si dimostrò resistente tanto alle invasioni barbariche quanto alle esplosioni nucleari. Ora se ne sta, come una bassa montagna grigia, al centro dell’unica area libera che rimane nel congestionato triangolo di autostrade, edifici e centri governativi compreso fra il Vaticano, la città amministrativa della Pax e lo spazioporto.

Il Padre Capitano de Soya si presenta con venti minuti d’anticipo e riceve un distintivo che lo guiderà per le cripte, soffocanti e prive di finestre, e per i corridoi del castello. Gli affreschi, i magnifici mobili e gli ariosi loggiati, messi lì da Papi del Medioevo, sono da tempo sbiaditi e caduti in rovina. Castel Sant’Angelo ha ripreso le caratteristiche di mausoleo e di fortezza. De Soya sa che dalla Vecchia Terra è stato portato anche un passaggio fortificato dal Vaticano al castello e che negli ultimi due secoli uno dei compiti del Sant’Uffizio è stato quello di aggiornare l’armamento e le difese di Castel Sant’Angelo, in modo che la roccaforte offra ancora al Papa un rifugio rapidamente accessibile nel caso che la guerra interstellare giunga fino su Pacem.

La camminata richiede appunto venti minuti e de Soya deve superare frequenti posti di controllo e porte di sicurezza, ciascuna sorvegliata non da Guardie Svizzere in costume sgargiante (la polizia del Vaticano) ma dalle guardie di sicurezza del Sant’Uffizio, in uniforme nera e argento.

La cella per l’interrogatorio è infinitamente meno spaventosa degli antichi corridoi e rampe di scale che servono a raggiungerla: due delle tre pareti di pietra sono rese più luminose da pannelli di vetro intelligente che risplendono di un giallo pacato; due fasci di fibra ottica diffondono luce solare dal collettore posto sul tetto, trenta metri più in alto; la stanza è spartanamente ammobiliata con un moderno tavolo da conferenze; la sedia di de Soya si trova di fronte a quelle dei cinque Inquisitori, ma in modello e comodità è identica alle loro; contro una parete c’è un centro di lavoro che ricorda i normali uffici, con tastiere, schermi dati, piastra diskey e input virtuali, nonché una credenza con una caraffa di caffè e panini per la colazione.

De Soya deve aspettare un solo minuto, prima dell’ingresso degli Inquisitori. I cinque cardinali… un gesuita, un domenicano e tre Legionari di Cristo… si presentano e gli stringono la mano. De Soya ha indossato l’uniforme nera della Flotta della Pax, con il solino bianco da prete, e fa un netto contrasto con le tonache cremisi del Sant’Uffizio ornate di mostrine nere. C’è uno scambio di convenevoli… un breve interessamento sullo stato di salute di de Soya e sulla sua risurrezione, l’offerta di cibo e di caffè (de Soya accetta il caffè)… e poi tutti si accomodano.

Secondo la tradizione del Sant’Uffizio e secondo l’usanza della Chiesa Rinnovata, la discussione si tiene in latino perché l’indagine riguarda un prete. In realtà solo uno dei cinque cardinali prende la parola. Le domande sono cortesi, formali, formulate sempre in terza persona. Al termine della seduta, l’interrogato riceve la trascrizione in latino e nell’inglese della Rete.

INQUISITORE: Il Padre Capitano de Soya ha avuto successo nel trovare e trattenere la bambina nota come Aenea?

P.C. DE SOYA: Ho avuto contatto con la bambina. Non ho avuto successo nel trattenerla.

INQUISITORE: Il Padre Capitano precisi il significato della parola "contatto" in questo contesto.

P.C. DE SOYA: In due occasioni ho intercettato la nave che portava via da Hyperion la bambina. La prima volta, nel sistema di Parvati; la seconda volta, nello spazio di Vettore Rinascimento e sul pianeta stesso.

INQUISITORE: Questi infruttuosi tentativi di prendere in custodia la bambina sono stati registrati e debitamente messi agli atti. La tesi del Padre Capitano è che nel sistema di Parvati la bambina sarebbe morta di propria mano, prima che le ben addestrate Guardie Svizzere a bordo della nave del Padre Capitano entrassero con la forza nel vascello abbordato e prendessero in custodia la bambina?

P.C. DE SOYA: Era mia convinzione, a quel tempo. Ho ritenuto che il rischio fosse troppo grande.

INQUISITORE: E, per quanto a conoscenza del Padre Capitano, il comandante delle Guardie Svizzere incaricato dell’effettivo abbordaggio, tale sergente Gregorius, concordò sul fatto che l’operazione dovesse essere annullata?

P.C. DE SOYA: Ignoro quale opinione il sergente Gregorius si sia fatto in seguito all’annullamento dell’abbordaggio. A quel tempo era favorevole a portare a termine l’operazione.

INQUISITORE: E conosce, il Padre Capitano, l’opinione degli altri due soldati coinvolti nell’abbordaggio?

P.C. DE SOYA: A quel tempo volevano concludere l’operazione. Si erano duramente allenati ed erano pronti. Tuttavia a quel tempo ritenni che il rischio di perdere la bambina fosse troppo grande.

INQUISITORE: Fu questa la stessa ragione per cui il Padre Capitano non intercettò la nave fuggiasca prima che penetrasse nell’atmosfera del pianeta conosciuto come Vettore Rinascimento?

P.C. DE SOYA: No. In quell’occasione la bambina comunicò che sarebbe atterrata sul pianeta. Mi parve meno pericoloso per tutte le persone coinvolte lasciare che la bambina atterrasse e poi prenderla in custodia.