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— Scenderete — dice il Padre Capitano de Soya. Il diskey papale brilla contro il nero dell’abito talare.

Il capitano più anziano muove un passo. — Può arrestarmi, spararmi, scomunicarmi… Non porterò a morte certa i miei uomini e il mio battello. Lei non ha mai visto un Bocca a Lampada, Padre!

De Soya gli tocca amichevolmente la spalla. — Non l’arresterò, non le sparerò né la scomunicherò, capitano. E vedrò presto un Bocca a Lampada. Forse più d’uno.

Il capitano non capisce.

— Ho fatto venire altri tre sottomarini della Flotta Oceanica — dice de Soya. — Troveremo, snideremo e uccideremo ogni Bocca a Lampada e ogni altro gigacanto nel giro di cinquecento chilometri. Quando v’immergerete, la zona sarà completamente sicura.

Il capitano anziano guarda il collega e poi de Soya. Sia lui sia il collega sembrano sconvolti. — Padre… Capitano… signore… sa quanto vale un Bocca a Lampada? Per i turisti e per le grandi fabbriche di Santa Teresa… signore.

— Circa quindicimila seidon di Mare-Occhio — dice de Soya. — Ossia circa trentacinquemila fiorini della Pax. Quasi cinquantamila marchi della Mercatoria. Cadauno. — Sorride. — E poiché riceverete il trenta percento che spetta a chi localizza per la marina i Bocca a Lampada, vi auguro buona caccia.

I due comandanti di sommergibile si precipitano alla porta.

Per la prima volta de Soya manda un suo sostituto sulla Raffaele per svolgere un incarico. Il sergente Gregorius viaggia da solo nella nave Arcangelo e porta con sé i dati riguardanti il DNA e le impronte, oltre a fili prelevati dal tappeto hawking.

«Non dimenticare» gli trasmette su raggio compatto de Soya, prima che la Raffaele passi a velocità quantica «che su Hyperion c’è ancora una forte presenza della Pax e che in qualsiasi momento almeno due navi torcia si trovano nel sistema. Ti porteranno nella capitale, San Giuseppe, per una corretta risurrezione.»

Legato nella cuccetta antiaccelerazione, il sergente Gregorius si limita a un borbottio. Sul video pare sereno e calmo, malgrado la morte imminente.

«Tre giorni per la risurrezione» prosegue de Soya «e non più di un giorno, direi, per esaminare l’archivio. E poi il ritorno.»

«Ricevuto, capitano» dice Gregorius. «Non sprecherò tempo nei bar di Jacktown.»

«Jacktown?» si stupisce de Soya. «Ah, sì… il vecchio nomignolo della capitale. Be’, sergente, se vuoi passare la tua unica vera sera in un bar, offro io. Con me hai passato vari mesi all’asciutto.»

Gregorius sogghigna. Vede sull’orologio che mancano trenta secondi al balzo quantico e alla dolorosa dipartita. «Non mi lamentavo, capitano.»

«Molto bene» dice de Soya. «Fai buon viaggio. Ah… sergente?»

«Comandi!» Dieci secondi.

«Grazie, sergente.»

Non c’è risposta. All’improvviso non c’è niente, all’altro capo del raggio compatto di tachioni coerenti. La Raffaele ha effettuato il balzo quantico.

La marina scopre e uccide cinque Bocca a Lampada. De Soya, nel tòttero di comando, va a esaminare di persona ogni carcassa.

— Buon Dio, non immaginavo che fossero così grandi — dice al tenente Sproul, quando arrivano sul punto dove il primo galleggia.

L’animale, color bianco sporco, supera di tre volte le dimensioni della piattaforma: una massa di peduncoli oculari, fauci spalancate, fenditure fibrillanti di branchie grandi ciascuna come un tòttero, viticci pulsanti lunghi centinaia di metri, dondolanti antenne che portano ciascuna una "lampada" a luce fredda di grande vividezza perfino lì al sole e bocche, molte bocche, ciascuna abbastanza grande da inghiottire un sottomarino della flotta. Sotto gli occhi di de Soya le squadre di raccolta già si affollano intorno alla carcassa esplosa per la decompressione, segano peduncoli oculari e tagliano la carne bianca in pezzi facilmente trasportabili prima che il caldo la guasti.

Soddisfatti che la zona sia stata ripulita dei Bocca a Lampada e di altri micidiali gigacanti, i due capitani portano i sommergibili a ventiquattromila metri di profondità. Laggiù, tra foreste di vermotubi grandi come le sequoie della Vecchia Terra, trovano una stupefacente varietà di vecchi relitti… sommergibili di pescatori di frodo, ridotti dalla pressione alle dimensioni di una valigetta… una fregata della marina, scomparsa da più di un secolo… Trovano anche stivali: decine di stivali.

— Il procedimento di concia — spiega a de Soya il tenente Sproul, mentre guardano insieme i monitor. — È una stranezza, ma accadeva anche sulla Vecchia Terra. Alcune delle più antiche operazioni di recupero marino, per esempio quella di una nave chiamata Titanic, non portarono mai in superficie cadaveri… il mare è troppo affamato per conservarli… ma mucchi di stivali. Qualcosa, nel procedimento di concia del pellame, scoraggia le creature marine, laggiù… e qui.

«Portateli su» ordina de Soya, mediante il collegamento a cavo.

«Gli stivali?» domanda il capitano del sommergibile. «Tutti?»

«Tutti» conferma de Soya.

I monitor mostrano sul fondo marino una profusione di robaccia: cose perdute dalla guarnigione della piattaforma in quasi duecento anni di sbadataggine, effetti personali dei pescatori di frodo e dei marinai annegati, spazzatura metallica e plastica gettata via da pescatori e da altri. Molti oggetti sono corrosi e deformati dai crostacei di profondità e dall’inimmaginabile pressione, ma alcuni sono abbastanza recenti e resistenti da essere riconoscibili.

«Raccoglieteli e portateli su» ordina de Soya, mentre guarda oggetti luccicanti che potrebbero essere un coltello, una forchetta, una fibbia di cintura, una…

«Cos’è quello?» domanda de Soya.

«Quale?» dice il capitano del sommergibile. Guarda i telemanipolatori e non i monitor.

«Quell’oggetto luccicante… pare una pistola.»

L’immagine sui monitor cambia, mentre il sommergibile si gira. I potenti fari frugano il fondo, si spostano, illuminano l’oggetto e la telecamera lo avvicina. «È una pistola» conferma il capitano. «Ancora pulita. Un po’ danneggiata dalla pressione, ma in pratica intatta.» De Soya può udire lo scatto della telecamera a inquadratura singola che cattura dal monitor l’immagine. «Ora la raccolgo» dice il capitano.

De Soya sta per ammonirlo… "con prudenza!"… ma si trattiene. Negli anni al comando di una nave torcia ha imparato a lasciare che ciascuno faccia il suo lavoro. Guarda comparire sul monitor il braccio prensile e il telemanipolatore che con delicatezza solleva l’oggetto luccicante.

— Potrebbe essere la pistola a fléchettes del tenente Belius — dice Sproul. — Non è mai stata ritrovata.

— Si trova piuttosto lontano dalla piattaforma — riflette de Soya, guardando il monitor, dove l’immagine si muove e cambia.

— Qui le correnti sono forti e capricciose — replica il giovane ufficiale. — Ma devo ammettere che non pareva una pistola a fléchettes. Troppo… come dire… squadrata.

— Già — dice de Soya. I fari sottomarini brillano sullo scafo incrostato di un sommergibile affondato da decenni. De Soya pensa agli anni nello spazio e a quanto quell’ignoto e differente abisso sia vuoto rispetto a un qualsiasi oceano di qualsiasi mondo, brulicante di vita e di storia. Pensa agli Ouster e al loro bizzarro tentativo di adattarsi allo spazio come quei vermotubi e quei gigacanti e quelle altre creature abbarbicate al fondale si sono adattate al buio eterno e alla terribile pressione. Forse, pensa, gli Ouster capiscono, del futuro della razza umana, qualcosa che noi nella Pax abbiamo solo negato.

"Eresia" si rimprovera. Scaccia quei pensieri e guarda il giovane ufficiale di collegamento. — Fra poco sapremo cos’è — dice. — Nel giro di un’ora avranno portato su il carico.

Gregorius ritorna dopo quattro giorni. È morto. La Raffaele invia col radiofaro il suo triste segnale; una nave torcia si presenta all’appuntamento, a venti minuti luce dal pianeta, e il corpo del sergente viene rimosso e portato nella cappella di risurrezione a Santa Teresa. De Soya non aspetta che il sergente sia risuscitato. Si fa subito portare la borsa dei documenti.