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Tre settimane dopo, cominciarono ad arrivare gli altri animali, nuotando attraverso la stretta entrata della baia. Adesso iniziava il vero lavoro. Anna cambiò i suoi orari. La maggior parte delle informazioni più importanti giungevano di notte, quando le creature galleggiavano in prossimità della superficie dell’acqua, lanciando messaggi avanti e indietro. A volte (e questo era un comportamento notato soltanto durante la stagione dell’accoppiamento) ripetevano tutti lo stesso messaggio, all’unisono o uno dopo l’altro, cosicché la baia era tutta una combinazione di luci.

Entravano nella baia solo gli animali relativamente grossi. Avevano viticci più o meno della stessa lunghezza e si tenevano a distanza di sicurezza l’uno dall’altro. Altri pseudosifonofori… ce n’erano a centinaia… galleggiavano nell’oceano al di là del canale d’entrata, attratti da qualcosa, più verosimilmente un feromone, ma riluttanti a entrare.

— Non c’è alcuna prova d’intelligenza, qui — diceva Maria. — Quelli piccoli hanno paura di quelli grossi; il che è naturale; e ognuno è attratto dalla possibilità di sesso. Il che è altrettanto naturale.

Anna non ribatteva. Era troppo stanca e occupata. Sapeva che i negoziati andavano avanti… l’aereo continuava a passare… ma ormai aveva perso il filo di ciò che poteva succedere.

Una mattina, dopo il lavoro, salì sulla collina sopra la stazione. Il cielo era scuro e chiaro e la stella mattino/sera scintillava sopra l’acqua: due brillanti punti di luce.

Le creature avevano cominciato a segnalare poco prima che lei smontasse e ora ci davano dentro con forza. Impulsi di luci blu e verdi andavano e venivano per la baia, poi attraverso il canale verso l’oceano. Il ritmo… la combinazione… restava lo stesso, ma i colori cambiavano, sbiadivano un po’. Di tanto in tanto, Anna scorgeva un arancione che, in quel contesto, era probabilmente un’indicazione di frustrazione sessuale. Per un qualche motivo, che nessuno capiva ancora, le creature si accoppiavano soltanto nelle baie, mai in oceano aperto. (Un’altra prova che non erano intelligenti, diceva Maria; segno di intelligenza sarebbe stata una certa flessibilità.) Gli animali piccoli sapevano che non avrebbero generato quell’anno e mandavano scintille come tanti fuochi. Più ci si allontanava dalla spiaggia, più gli animali diradavano, ma ce n’era ancora qualcuno, che punteggiava l’acqua scura fino all’orizzonte, che lampeggiava a tempo con gli esemplari grossi nella baia.

Uno spettacolo stupefacente.

Dopo un po’, un paio di giovani soldati molto educati uscirono dalla zona diplomatica. Marine. Il nome non era cambiato, anche se le navi sulle quali viaggiavano ora andavano tra le stelle. Indossavano le uniformi e avevano le teste rasate tranne che per una stretta striscia centrale. Quella del ragazzo era di capelli biondi e lisci; la ragazza, invece, li aveva scuri e ricci.

— La collina è off-limits, signora — disse la ragazza. — Deve andarsene.

Il ragazzo guardò la baia e l’oceano. — Cos’è quella roba?

— Animali — rispose Anna. — Questa è la loro stagione dell’accoppiamento. È come se le rane cantassero Verdi. Non sappiamo ancora se sono intelligenti.

— Perché no? — disse il ragazzo. — Le balene lo sono. E i delfini.

Si sbagliava ma Anna non aveva voglia di discutere. — Sono salita quassù per guardare.

— Sì, vale davvero la pena.

— Andrà avanti per settimane.

— Ehi — disse lui. Era un’esclamazione di gioia.

Poi la ragazza fece: — Adesso deve andare, signora.

Il giorno dopo, l’aereo non ripartì alla solita ora. Katya le disse che i hwarhath erano stati invitati a rimanere per un party.

— Etienne dice che stanno cercando di intrattenere rapporti più cordiali ora che la questione dell’arredamento è sistemata.

— Arredamento? — domandò Anna.

— Non chiedermelo — disse Katya. — Etienne si è chiuso a riccio. Si tratta di un’informazione confidenziale.

— Ah — ribatté Anna e tornò al lavoro.

Accadde col buio, dopo che Yoshi ebbe lasciato la barca. Anna uscì in coperta. La baia era tranquilla. Gli alieni galleggiavano immobili, senza mandare segnali.

Tre persone venivano avanti sul pontile, verso di lei. Una in testa, le altre due seguivano. Anna non riuscì a vederle chiaramente se non quando arrivarono sotto la luce posta all’estremità del pontile vicino alla sua barca.

La prima persona era un umano. Anna lo notò appena perché stava guardando uno dei due che seguivano: un individuo massiccio, vestito di grigio. Aveva un viso largo e piatto, coperto da una peluria grigia, e gli occhi erano completamente azzurri; nessuna traccia di bianco. Le pupille erano larghe sbarre orizzontali che, per reazione alla luce, si restrinsero rapidamente.

Per un momento, l’alieno la fissò, poi abbassò lo sguardo.

L’altro dei due che seguivano era un marine: il ragazzo che Anna aveva conosciuto sulla collina. Portava un fucile, come l’alieno.

L’uomo in testa al gruppetto non aveva armi, o, perlomeno, Anna non riuscì a vederne. Aveva le mani infilate nelle tasche della giacca la quale era disadorna e fatta di una specie di tessuto marrone. Sembrava anche che gli stesse male, come se fatta per qualcuno che non ne capiva assolutamente nulla di moda umana. Stessa cosa per il resto del suo vestiario: disadorno, scuro e in qualche modo inadatto.

Era parte del prezzo del tradimento da pagare?, si domandò Anna. La cattiva fattura degli abiti? L’essere fuori moda?

L’uomo disse: — Uno sguardo diretto è una sfida. È una delle cose che valgono per entrambe le specie. Ecco perché lui guarda giù. Indica che non è interessato in alcun genere di lotta.

— Bene — commentò Anna.

— Mi è stato detto che lei è la persona con la quale dovrei parlare a proposito delle luci nell’oceano.

Anna annuì, senza staccare gli occhi dall’uomo grigio.

— Posso salire a bordo? Temo che loro saliranno con me e vorranno controllare che non ci sia nulla che io possa danneggiare o che possa danneggiare me.

Anna lo guardò dritto negli occhi. Era ordinario come la prima volta che lo aveva visto sullo schermo. Solo che adesso i capelli erano asciutti; un po’ ricci e con parecchio grigio. Il viso era molto pallido come di chi avesse trascorso molti anni dall’ultima volta che era stato al sole.

— Lei è il traduttore — disse Anna, pensando che fosse più educato che chiamarlo traditore.

Lui annuì.

Che diamine? Perché no? Avrebbe potuto non presentarsi più l’occasione di trovarsi di nuovo tanto vicina a un hwarhath. Anna annuì.

L’uomo parlò all’alieno. I due soldati salirono a bordo e cominciarono la perquisizione.

— Fate attenzione — gridò loro Anna. Nicholas aggiunse qualcosa in lingua aliena, poi salì anche lui a bordo. Si appoggiò al parapetto e guardò la baia. Uno dei pseudosifonofori cominciò a lampeggiare, giallo, verde, bianco, giallo: quasi certamente un nome. Sono io. Sono io.

— Okay — fece Nicholas. — Che cosa sono?

Lei glielo disse, poi aggiunse: — Il problema è… Sappiamo che la loro intelligenza è in rapporto alla dimensione. Lo abbiamo scoperto dallo studio degli esemplari piccoli. Questi nella baia sono medi e, probabilmente, mediamente sviluppati quanto a intelligenza. Quelli davvero grandi se ne stanno nell’oceano e non sappiamo ancora come arrivare fino a loro.

I soldati uscirono dalla cabina e rimasero in attesa, ora guardandosi a vicenda, ora guardando Nicholas. Il ragazzo… il marine… sembrava nervoso. Anna non riusciva a vedere l’espressione dell’alieno, ammesso che ne avesse avuta una. La posizione del suo corpo indicava uno stato d’allerta ma non di tensione. Non era preoccupato ma attento, sebbene non guardasse mai nessuno in faccia.

— Molto interessante — disse Nicholas. — Ma non vedo alcuna ragione perché lei pensi che gli animali possano essere intelligenti.