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Certo che no.

— Nick…? — Anna non seppe trovare un modo educato per finire la frase.

— Sanders Nicholas è conosciuto per la sua abitudine di guardarsi attorno. Lui dice che sarebbe empio non farlo.

— Che cosa?

— Secondo lui, voi umani avete un certo numero di spiacevoli malattie che sono trasmesse sessualmente.

— Sì.

— Be’, anche noi, sebbene niente di simile alle devastanti malattie che Nicky ha descritto.

Le Hiv. Ogni quattro o cinque anni saltava fuori un nuovo tipo che prendeva il nome… come per l’influenza… dal luogo in cui veniva scoperto la prima volta.

— Ma Nicky non prende le nostre malattie. Nessuna. Sembra come noi, ma è soltanto apparenza. Al livello in cui le malattie vivono e si riproducono, è molto diverso.

— Che cos’ha a che fare tutto questo con la pietà? — domandò Anna.

— Lui dice che è capitato per caso in un luogo dove è possibile fare sesso con molte persone e non aver paura di morire. Questo è un dono della Divinità. Quando Colei che ha creato l’universo dà un dono, è per poterlo usare. Probabilmente vuole scherzare; anche se non si può mai esserne certi, con lui. A volte scherza con l’aria di essere tremendamente serio, ed è serio quando uno potrebbe pensare che stia scherzando. Ma è un fatto che si guardi attorno.

Percorsero in silenzio un altro corridoio. Poi Matsehar tornò alla sua versione di Macbeth. Spiegò quanto andasse bene Lady Macbeth come madre piena di ambizione, che manda avanti e protegge il suo figlio guerriero, il quale si trasformerà alla fine… un giudizio sull’ambizione! …in un mostro che lei non potrà controllare.

9

Una sera, ho invitato Matsehar. Lui era d’umore strano, tanto triste quanto malevolo. Non avrei saputo definirlo, anche se era sempre stato volubile: il prezzo della genialità e dell’essere diverso.

Ogni volta che qualcosa lo affligge… rabbia o stanchezza o stress… diventa anche più goffo del solito. Ha lasciato cadere il mio piccolo computer per la lettura mentre cercava di caricare la sua versione del Macbeth, e poi abbiamo dovuto metterci in ginocchio a cercare il testo, che era sparito nel tappeto. Alla fine, l’ho trovato, un luccichio cristallino tra le fibre, l’ho raccolto e gliel’ho dato. Lui l’ha lasciato cadere di nuovo e ha cominciato a imprecare in inglese. Gli ho portato via il computer e ho caricato il testo, poi ho servito da bere per tutti e due: halin per lui e un bicchiere d’acqua per me.

— Quanto ti piace Anna? — Non lo avevo più visto da quando mi aveva sostituito come scorta, e per quel che sapevo di lui, si è sempre interessato agli umani.

Ha girato il bicchiere di halin. Con molte probabilità, stando al modo in cui si muoveva quella sera, avrebbe finito per rovesciarlo.

Alla fine ha parlato.

— Ettin Gwarha è più straordinario di quanto mi fossi reso conto. Lui sa guardarti e vedere un uomo. Quando io guardo Perez Anna, vedo un alieno. Non riesco a superare le differenze fisiche: il corpo con le sue strane proporzioni, gli arti che non si piegano al punto giusto, la pelle che sembra cuoio scuro, gli occhi… — È stato scosso da un visibile brivido, poi ha sollevato lo sguardo, incontrando il mio. — Credevo di avere una mente aperta, Nicky. E invece no. Sono chiuso come uno sporco contadino della pianura di Eh. Hah, Nicholas! Mi sento intrappolato in me stesso!

"E mi sento solo. Ti invidio, sebbene l’invidia non sia un’emozione che mi piaccia. Ti ho visto nel corridoio, che parlavi con Shal Kirin. È un grande dono, Nicky, guardare la gente e trovarla piacevole.

— Non mettere in giro voci cattive, Mats. Voglio che Gwarha sia in grado di concentrarsi sui negoziati.

— Allora, non ti interessa Kirin?

— Non al momento. Anche se la Divinità sa che il suo corpo è meraviglioso, e che mi sono sempre piaciute quella tonalità di colore, la peluria bianca e le piccole zone di pelle scura. C’è un albero sulla Terra che si chiama betulla. Ecco a cosa assomiglia Kirin, a una betulla nella neve.

Matsehar è sembrato ancora più triste di prima. Io, naturalmente, ero arrabbiato con lui. La sua reazione ad Anna mi ha detto qualcosa sulla sua reazione a me. Ero un altro diverso, un alieno.

Mi è passata per la mente una frase, che non ho esposto a voce alta.

Matsehar, avrei voluto dire, l’universo è molto grande, ed è perlopiù freddo e scuro e vuoto; non è un bene essere di gusti troppo difficili su chi si vuole amare.

Ma la saggezza dei più anziani dà sempre fastidio e poi toccava a Mats gestire i suoi problemi. Non posso aiutarlo in alcun modo e non si dovrebbero mai dare consigli quando si è arrabbiati.

Ho allungato la mano. — Dammi il Macbeth. Vorrei vedere come lo stai facendo.

Lui si è alzato per prendere il computer. Nel farlo, ha rovesciato il bicchiere.

La prima commedia che ho visto di Eh Matsehar era La Vecchia dei Vasi, che era stata messa in scena dagli Art Corps al festival di una stazione. Non ricordo più di quale stazione si trattasse. Forse di Tailin. Abbiamo trascorso abbastanza tempo, laggiù, ed è sufficientemente grande per accogliere gente degli Art Corps.

La commedia è fatta in una forma moderna e ambigua, il che significa che non è chiaramente un poema epico o la commedia di una donna o di un animale o di nient’altro in particolare.

Un guerriero in viaggio d’affari per la sua stirpe incontra una donna che costruisce vasi sul ciglio della strada. Il guerriero è giovane, fiero e di successo, proviene da una stirpe (gli Eh) il cui potere è in rapida espansione. La donna è vecchia e quasi cieca. Fa i vasi servendosi del tatto, ormai, e usa soltanto la semplice smaltatura a sale. Riesce a sentire la forma e la struttura, ma non può più vedere il colore o il disegno abbastanza chiaramente per usarli. Se appartenga a una stirpe, non lo sappiamo. Forse è una di quelle donne che non riescono a sopportare di essere state inserite in un’altra stirpe, dopo che la loro è stata sconfitta in una guerra, e che sono rimaste sole.

Le due persone conversano, la donna della costruzione dei vasi… i problemi tecnici e la difficoltà di lavoro che lei ha ora, rigida per l’età e cieca; il guerriero delle battaglie alle quali ha partecipato, del potere della sua stirpe, delle sue ambizioni.

A poco a poco, gli spettatori cominciano ad avere il sospetto che la donna sia una manifestazione della Divinità. Ci si rende certamente conto che il giovane è un pazzo. La donna gli fa delle domande, acute e divertenti. Le domande arrivano a: Che cosa credi di fare, comunque? Lui non sa rispondere, tranne che con frasi fatte tratte da vecchi poemi epici e con una specie di avidità infantile.

Alla fine, la donna chiede: — Perché non metti da parte quelle armi e non fai qualcosa di utile? Un vaso!

Il giovane china la testa, incapace di rispondere. La commedia finisce.

Gwarha l’aveva odiata ed era uscito con un paio di altri ufficiali anziani per andare a ubriacarsi e a lamentarsi del teatro moderno. Io avevo fatto un giro per la stazione.

Il giorno dopo, ero andato a cercare l’autore e l’avevo trovato al teatro degli Art Corps, intento a discutere con un altro uomo, che si era rivelato per il musicista capo. Qualcuno lo aveva indicato: alto per un hwarhath, anche se non quanto me, di ossatura grossa, dall’aspetto desolato e molto giovane. La sua giovane età spiegava i problemi della commedia. Aveva sollevato lo sguardo mentre mi avvicinavo. (I hwarhath di solito guardano basso quando discutono seriamente.)

— Hah. — Il lungo respiro. I suoi occhi azzurri si erano spalancati; anche le pupille lunghe e strette erano sembrate espandersi. Si era girato, muovendosi goffamente. In seguito, avevo scoperto che era stato ammalato durante l’infanzia: una specie di infezione al sistema nervoso centrale. I medici non avevano mai scoperto di cosa si fosse esattamente trattato.