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— Non preoccuparti — disse Hua. — Ricomparirà. Non è uno degli sfortunati.

Nia fece il gesto che indicava che aveva capito.

Il viaggio verso nord fu difficoltoso. C’era pioggia. La mandria, che procedeva davanti al villaggio, sommuoveva il terreno bagnato, trasformandolo in fango. I carri s’impantanarono infinite volte. L’umore si fece irascibile. Parecchi fra i vecchi sellarono i loro cornacurve e se ne andarono.

Hisu, il fabbricante di archi, era troppo vecchio per andare. Se ne stava seduto sul suo carro e malediceva il destino.

Nia, che gli cavalcava accanto, lo sentì borbottare: — Era meglio se morivo anni fa. — Parlava a voce alta senza rivolgersi a nessuno che lei potesse vedere. — Nel fiore degli anni, da solo. Il modo che si conviene. Ora… o Signore delle Mandrie, che fine! Vivere circondato da donne!

Aveva davvero un’aria miserevole. Se ne stava raggomitolato nel mantello, il volto riparato da un ampio cappello da pioggia di cuoio. Nia notò che il suo pelame era completamente grigio.

Gli fece un cenno con la mano. Lui imprecò. Lei proseguì.

Finalmente arrivarono nella Terra dell’Estate. La maggior parte dei vecchi tornò e si sistemò come al solito ai margini dell’accampamento. Ma due non fecero più ritorno.

— Due stupidi! — osservò Hua. — Perché se ne sono andati? Erano vecchi. Si sarebbero potuti comportare in modo ragionevole. L’hanno fatto? No. Sono corsi via come ragazzi forsennati. E adesso qualcosa li ha uccisi.

Nia non disse nulla.

La pioggia cessò. L’estate era fresca e asciutta. Ben presto ebbe la certezza di non essere gravida.

— Non preoccuparti — la rassicurò Ti-antai. — Capita spesso. Avrai un figlio il prossimo anno o l’anno successivo.

Nia fece il gesto con cui mostrava che capiva. Non si era preoccupata. Era felice così com’era. Durante il giorno lavorava alla fucina. Nel tardo pomeriggio lei e Angai andavano a cavalcare o se ne stavano sedute presso il fiume a chiacchierare. Era per lo più Angai a parlare. Aveva molto spirito di osservazione e trovava sempre qualcosa di mordace da dire sulle persone del villaggio. A causa del tempo asciutto, c’erano solo pochi insetti nell’aria. Era piacevole starsene sedute ad ascoltare mentre il cielo cambiava colore.

La sua amica era senza dubbio intelligente, pensò Nia. Quasi intelligente quanto Anasu.

Quell’estate ci fu uno scandalo al villaggio. Riguardava la lavoratrice del bronzo, Nuha, e suo figlio.

Lui aveva sedici anni e tutti potevano vedere che era passato attraverso il cambiamento. La sua pellicia era irsuta, il corpo grande e grosso. Si comportava in modo irrequieto, ma non abbandonava il villaggio. Al contrario, restava dentro la tenda di sua madre o lavorava con lei alla fucina.

Le vecchie torcevano la bocca e brontolavano. Hua disse: — È quello che capita quando una donna non ha figlie. Non riesce a lasciar andare i figli maschi. Guarda in che modo lo tratta! Non lo manda a imparare a usare l’arco o qualche altra cosa che gli tornerà utile. Lascia che lui azioni il mantice e coli perfino il bronzo. Aiya! È spaventoso.

Nia non disse nulla. Le era sempre piaciuto Enshi. Da bambino era stato affabile e loquace, sempre pronto a raccontare storielle e a fare scherzi. Perfino adesso era sempre cortese e non perdeva mai le staffe, una cosa assai insolita in un ragazzo, o in un uomo, della sua età.

Era però mediocre come tiratore d’arco. Glielo aveva detto Anasu.

"E cavalca anche male", aveva osservato suo fratello. "Non sopravviverà da solo sulla pianura."

Arrivò l’autunno. Il villaggio si preparò a muoversi. Una mattina Enshi se ne andò.

— Finalmente! — fu il commento di Hua. — Adesso potrò parlare di nuovo con sua madre.

Restò assente per cinque giorni, poi ritornò. Aveva l’aspetto stanco e sporco. Le donne del villaggio gli rivolsero occhiate ostili, ma Enshi le ignorò. Condusse la sua cavalcatura fino alla tenda della madre e smontò.

Nuha, che era piccola e grassa, si precipitò fuori e abbracciò il figlio.

— Disgustoso — dichiarò Suhai. — Che la Madre delle Madri possa insegnare la vergogna a quella donna.

— Stai maledicendo la donna? — domandò Nia. — In tal caso, farò il gesto dello scongiuro. Chi può dire quale spirito ascolterà una maledizione? O che cosa ne farà?

— Hai intenzione di diventare una sciamana, figliastra?

— No.

Suhai la fissò torva, poi fece il gesto dello scongiuro.

— Bene — disse Nia.

La mattina seguente, di buon’ora, le donne anziane si recarono dalla sciamana. Rimasero sull’entrata della sua tenda e si lamentarono. Nia udì le loro voci stridule e uscì. La giornata era luminosa. L’aria odorava di fumo di legna, di cuoio e dell’arida pianura estiva.

Nia osservò la sciamana che attraversava il villaggio. Indossava una tunica ricoperta di ricami rossi e una grossa collana fatta di bronzo. Mmm! Che donna imponente!

Le vecchiacce la seguivano zoppicando. Nia restò a guardare.

Si fermarono tutte davanti alla tenda di Nuha.

— Enshi! — gridò la sciamana.

Un minuto dopo, Enshi uscì. Nia non riusciva a vedere la sua espressione.

— Non hai la coscienza di ciò che è giusto? — domandò ad alta voce la sciamana.

Enshi abbassò gli occhi, poi li rialzò. Borbottò qualcosa che Nia non riuscì a sentire.

— È ora che tu te ne vada — disse la sciamana.

Enshi fece il gesto dell’assenso. Ora aveva le spalle curve e un’aria scoraggiata.

— Vattene oggi. E non tornare. Sei diventato una fonte di imbarazzo.

Enshi fece una seconda volta il gesto dell’assenso. Poi si voltò e rientrò nella tenda della madre.

La sciamana se ne andò, ma le vecchie si sedettero lì in attesa.

Nia andò alla fucina e lavorò da sola. Nel pomeriggio inoltrato arrivò Hua.

— Se ne è andato — dichiarò. — Gli abbiamo detto che se mai decidesse di tornare, lo malediremmo.

— Davvero? — osservò Nia. Si drizzò e si massaggiò il collo. — Come sono indolenzita oggi!

Il villaggio si spostò a sud. Il tempo si manteneva asciutto. La mandria sollevava una nube di polvere che saliva verso il cielo per gran parte del cammino. Un giorno dopo l’altro, vedevano davanti a loro la nube. Era di un colore marrone scuro. Nia pensava: Anasu è laggiù, che cavalca fra la polvere. E anche Enshi, il povero buffone.

Arrivarono nella Terra dell’Inverno. Di solito si accampavano a nord della mandria, ma quell’anno si diressero a sud e a est fino al Grande Lago dei Giunchi. Ora si trovavano ai margini orientali del loro pascolo. Sull’altra sponda del lago c’era la terra del Popolo dell’Ambra. Piantarono le loro tende e la sciamana si recò a far visita al Popolo dell’Ambra. Angai andò con lei, a anche altre nove donne. Conducevano tutte animali da soma carichi di doni.

Rimasero assenti per trenta giorni. Il tempo si manteneva asciutto, sebbene Hua continuasse a dire che stava arrivando la pioggia. Se la sentiva nelle ossa.

Quando tornarono, portarono con loro i doni del Popolo dell’Ambra: ambra, naturalmente, conchiglie colorate e rame.

— Uh! Che esperienza — dichiarò Angai. — Abbiamo dovuto girare attorno al lago. Sull’altra riva ci sono acquitrini e, al di là degli acquitrini, un fiume. È ampio e profondo. L’abbiamo dovuto attraversare ed è stato pericoloso. Ci vivono degli animali. Sono simili alle lucertole di fiume, ma più grandi. Molto più grandi. Mangiano qualunque cosa, dice mia madre.

— Uh! — esclamò Nia. — Raccontami di più.

— Abbiamo fabbricato delle zattere. È così che abbiamo attraversato il fiume. Non ho visto nessuno di quegli animali. Sono chiamati tuffatori o assassini-dell’acqua-profonda.

— Aiya! - fece Nia.

— Sull’altra sponda del fiume c’è la terra del Popolo dell’Ambra. — Angai fece una pausa e aggrottò la fronte. — Sono alte quanto noi, ma più corpulente; e parecchie di loro sono grasse. Hanno la pelliccia scura. La loro sciamana è enorme. Porta un cappello fatto di penne. Riuscivo a stento a capirle. Parlano in un modo così strano. Però sono molto ospitali. E bevono una specie di birra che non ho mai assaggiato prima. Nia, ho sentito una storia laggiù da non credere. Ma loro giurano che è vera.