La Ivanova se ne era andata. Agopian era seduto al tavolo pieghevole sul quale stava disponendo delle carte da gioco. Un nativo lo osservava, in piedi all’altra estremità del tavolo e appoggiandosi in avanti sulle mani pelose.
Agopian alzò lo sguardo. — Credo che costui, o costei, voglia te. È davvero difficile cercare di stabilire rapporti con esseri totalmente estranei che non parlano una lingua che io capisca.
— Che cosa sta facendo? — domandò il nativo. Era il figlio di Nia.
— È un… — Esitai. Non conoscevo ancora la parola per definire un gioco. — Una cerimonia. O piuttosto, è il genere di cosa che i bambini fanno con un bastone e una palla.
— Uh! Lui mette rosso su nero e nero su rosso. Ma non capisco il resto. I colori sono importanti?
Tradussi.
Agopian disse: — Rosso come sangue e fuoco. Nero come notte e morte. — Mise giù una carta. — Nero come anarchia. Rosso come rivoluzione.
Guardai Anasu. — Lui dice che sono i colori del sangue e del fuoco, della notte e della morte, della confusione e del cambiamento.
— È un mucchio di roba! Che cerimonia che sta eseguendo questa persona! Vero? Non conosco la parola. È una sciamana maschio?
Tradussi.
— Io sono un marxista.
Feci il gesto che significava "sì".
— Aiya! - Il ragazzo si raddrizzò, togliendo le mani dal tavolo. — C’è un posto dove possiamo andare? Non voglio disturbare uno sciamano. — Fece una pausa. — Una persona sciamano.
— Lui non vuole disturbarti — spiegai in inglese.
— Portalo via — disse Agopian. — Devo riflettere un po’. — Alzò lo sguardo. — Forse avrò voglia di raccontarti qualcosa più tardi.
— A proposito della conversazione che stavi facendo con la Ivanova?
— Sì. Credo di essermi ficcato in qualcosa di stupido e adesso devo tirarmene fuori. — Guardò la disposizione delle carte, aggrottando la fronte. — Così è la vita, come diceva Lenin. Un passo avanti. Due passi indietro. — Mise giù un’altra carta. — Preferirei che non accennassi alle mie osservazioni con la Ivanova.
— Okay.
Il ragazzo mi seguì verso la prua. Ci sedemo sul ponte di fibra di vetro. Lui si cinse le ginocchia pelose con le braccia pelose.
— Una della vostra gente si trova al villaggio, va in giro e guarda. Non capisce una parola di quello che le dice la gente. O è un maschio? Non lo so.
— Una donna. Si chiama Tatiana.
Lui fece il gesto dell’intesa: un rapido scatto della mano. — Hua è con lei, per assicurarsi che non si metta nei guai.
Una voce chiamò nella lingua del villaggio. Proveniva da un albero che si sporgeva sopra il fiume. Guardai in su e vidi delle foglie che si muovevano. — Quello è un tuo amico?
— Gerat. Fa sempre un sacco di baccano. Gli altri non li sentirai. Mi hanno detto che non avrei osato salire sulla barca.
— È per questo che siete venuti qui?
— Per la sfida? No. Volevamo vedere le barche, e nel villaggio sono tutte impegnate a discutere. — Si strinse le ginocchia con le braccia. — Uh! Che situazione! Non vogliono avere intorno i figli, soprattutto i maschi. Non vogliono lasciarci vedere che sono confuse.
— Sai che cosa decideranno?
— No. Dipende da Angai e dagli spiriti. E anche dalle donne anziane. Credo che le anziane diranno che dovete andarvene, ma non so che cosa farà Angai. — Inclinò il capo, riflettendo. I suoi strani occhi color grigio chiaro erano socchiusi. Infine fece il gesto del dubbio. — Hua potrebbe avere qualche idea. Lei capisce Angai meglio di me, e ne sa di più sugli spiriti. — Aprì gli occhi. — Ho qualcosa da chiederti.
Feci il gesto che significava "va’ avanti e chiedi".
— La gente dice che questa barca si muove da sola. Mi piacerebbe vederlo. È possibile?
Riflettei un momento. Era una richiesta ragionevole. Bisognava sempre aiutare i giovani ad acquisire conoscenza. E quel ragazzo mi piaceva. Era intelligente e affascinante. Strano che il fascino potesse attraversare i confini delle specie. E strano che il suo fascino dovesse avere una componente sessuale. Ma l’aveva.
— Okay. — Mi alzai. — Parlerò con la persona sciamano.
Anasu sollevò una mano. — Non voglio interrompere una cerimonia.
— Può darsi che ormai abbia finito.
Tornai a poppa. Agopian stava ancora facendo il suo solitario. — Sai condurre la barca?
— Naturalmente.
— Falla partire.
— Perché?
— Il ragazzo. Anasu. Vuole vedere una barca in movimento.
Agopian aggrottò la fronte.
— Non è poi una grande richiesta.
Agopian si alzò e raccolse le carte. — Okay.
Il ragazzo ci raggiunse. Appariva nervoso. — La persona sciamano aveva finito?
— Credo di sì.
Agopian si sedette al posto di guida, diede un colpetto a un interruttore e parlò in russo.
— Che cosa sta dicendo? — domandò il ragazzo.
— Non lo so. Noi abbiamo molte lingue e io ne conosco solo qualcuna.
— Allora non venite tutti dallo stesso villaggio?
— No.
La radio parlò in russo. Agopian avviò il motore. Accanto a me, il ragazzo serrò le mani. Agopian disse: — Prendi le funi di ormeggio, Lixia.
Ubbidii, inerpicandomi fra il sottobosco. Sentii una voce sopra di me. Non credo che fosse il bambino che aveva parlato prima. Salii di nuovo sulla barca, che si allontanò dalla riva. Eddie uscì dalla cabina.
— Che cosa sta succedendo?
Glielo dissi.
Lui si accigliò.
— Mettiamola così — dissi. — Potrebbe essere la sua ultima opportunità.
— Come Tatiana al villaggio? — Eddie sorrise. — Okay.
— L’uomo grande e grosso è arrabbiato? — domandò Anasu.
— No. — Guardai verso riva. Ora si vedevano un paio di bambini. Uno se ne stava silenzioso sulla riva e ci osservava. L’altro era appeso con una mano a un ramo come un gibbone. I suoi piedi scalciavano. Chissà se era un maschio o una femmina?
— Quello è Gerat — disse Anasu.
Un istante dopo Gerat perse la presa. Cadde nell’acqua e si mise a sguazzare, gridando. L’altro bambino non gli prestò la minima attenzione.
— Te l’ho detto — fece Anasu. — Fa sempre baccano.
Arrivammo al centro del fiume. Agopian invertì la rotta e diresse la barca contro corrente verso le rapide, poi ridusse la velocità. Il rumore del motore passò da un rombo a un brontolio.
— Perché la vostra barca fa tanto rumore? — s’informò Anasu. — È affamata?
— Non ci mangerà, se è questo che ti stai chiedendo.
— È viva?
Gerat si arrampicò sulla riva. La sua pelliccia era fradicia e arruffata. Il ragazzo aveva un’aria miserabile perfino da lontano.
— No — risposi. — È un utensile.
Il ragazzo fece tre passi avanti di corsa, saltò e si aggrappò al bordo del tetto della cabina, tirandosi su con una giravolta.
— Ehi! — esclamò Eddie.
Anasu si drizzò in piedi, a gambe divaricate.
— Scendi giù di lì! — gridò Eddie.
Il ragazzo agitò la mano.
Gli altri bambini lanciarono grida eccitate. Ne vidi cinque.
— Io diventerò un uomo grande e grosso! — gridò Anasu. — Sarò come mio zio. Voi piccoletti, ascoltate! Preparatevi a farvi indietro!
— Lo dici tu! — gridò una voce in risposta.
La barca si stava spostando molto lentamente verso valle. Anasu tentò un passo di danza: una scivolata e un saltello.
"Io sono sulla barca!
Sono sulla barca
che brontola!
"Io sono sulla barca!
Sono sulla barca
che RUGGISCE!
"Sto danzando!
Aiya! Danzando
sulla larga
e tremante groppa."
— Lingua lunga! — gridò uno dei ragazzini. Mi sembrò che fosse Gerat.
Anasu fece una piroetta.
Agopian disse: — Fallo scendere, Lixia.
— La persona sciamano si sta infuriando — dissi. — Scendi di lì.
Anasu lanciò un altro grido, poi si rotolò in avanti in un salto mortale che lo portò giù dal tetto. Si raddrizzò a mezz’aria e atterrò sui piedi.