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«Io voglio delle risposte» tagliò corto Sato spingendolo da parte. Si accovacciò, costringendo Langdon a scostarsi.

Lui si alzò in piedi e, incredulo, vide il direttore dell’os estrarre una penna dalla tasca e infilarla con attenzione sotto le dita piegate. Poi le sollevò a una a una finché la mano non fu del tutto aperta, e la palma visibile.

Alzò gli occhi verso Langdon, con un sorriso a fior di labbra. «Ha visto giusto anche questa volta, professore.»

22

Katherine Solomon era nervosa. Mentre misurava a grandi passi la biblioteca, scostò la manica del camice per guardare l’ora. Non era abituata ad aspettare, ma in quel momento pareva che tutta la sua esistenza fosse stata messa in attesa. Aspettava i risultati della ricerca di Trish, aspettava che suo fratello si facesse vivo, aspettava una telefonata dall’uomo responsabile di quella situazione angosciante.

Vorrei tanto che non mi avesse detto nulla, pensò. Di solito Katherine era molto cauta con gli estranei, ma nonostante avesse conosciuto quell’uomo soltanto poche ore prima, nel giro di qualche minuto lui si era conquistato la sua fiducia incondizionata.

La telefonata era giunta nel pomeriggio, mentre lei era a casa a godersi il consueto relax domenicale dedicato alla lettura delle riviste scientifiche della settimana.

"Signora Solomon?" Era una voce d’uomo insolitamente delicata. "Sono il dottor Christopher Abaddon. Speravo di poterle parlare un momento di suo fratello."

"Scusi, chi è lei?" aveva chiesto Katherine. E come hai fatto a procurarti il mio numero privato?

Il dottor Christopher Abaddon? A Katherine quel nome non diceva nulla.

L’uomo si era schiarito la voce come se fosse in imbarazzo. "Le chiedo scusa, signora Solomon. Mi era parso di capire che suo fratello le avesse parlato di me. Io sono il medico di Peter. Il suo numero di cellulare figura tra quelli da chiamare in caso di emergenza."

Il cuore di Katherine aveva mancato un battito. In caso di emergenza? "È successo qualcosa?"

"No… non credo" aveva risposto l’uomo. "Suo fratello non si è presentato in studio questa mattina e non riesco a mettermi in contatto con lui. Non ha mai saltato un appuntamento senza avvertire e sono un po’ preoccupato. Ho esitato prima di chiamarla, ma…"

"No, no, ha fatto bene." Katherine stava ancora cercando di mettere a fuoco il nome del medico. "Non sento mio fratello da ieri mattina, ma probabilmente ha solo dimenticato di accendere il cellulare." Gli aveva da poco regalato un iPhone e lui non aveva ancora avuto il tempo di capire come funzionava. "Ha detto di essere il suo medico?" aveva chiesto poi. Peter è malato e me lo ha tenuto nascosto?

Cera stato un momento di silenzio. "Sono davvero dispiaciuto, evidentemente ho commesso un grave errore professionale telefonandole. Suo fratello mi ha detto che lei era al corrente delle sue visite nel mio studio, ma adesso capisco che non è così."

Peter ha mentito al suo medico? Katherine era sempre più preoccupata. "È malato?"

"Mi dispiace, signora Solomon, ma il segreto professionale mi impedisce di parlare delle condizioni di suo fratello, anzi, ho già detto fin troppo rivelandole che è mio paziente. Ora devo riattaccare, ma se dovesse sentirlo lo preghi da parte mia di telefonare per rassicurarmi."

"Aspetti!" aveva esclamato Katherine. "Per favore, mi dica cos’ha Peter!"

Il dottor Abaddon si era lasciato sfuggire un sospiro, chiaramente infastidito per il proprio errore. "Signora Solomon, mi rendo conto che lei è turbata e non posso darle torto. Sono sicuro che suo fratello sta bene. È venuto nel mio studio appena ieri."

"Ieri? E doveva tornare oggi? Sembra una faccenda piuttosto seria."

L’uomo aveva fatto un altro sospiro. "Suggerirei di concedergli ancora un po’ di tempo prima di…"

"Vengo da lei immediatamente" lo aveva interrotto Katherine, già diretta verso la porta. "Dov’è il suo studio?"

Silenzio.

"Dottor Christopher Abaddon, giusto?" aveva detto Katherine. "Posso trovare l’indirizzo da sola, oppure può darmelo lei. In un modo o nell’altro, sto per arrivare."

Dopo un attimo di silenzio, il medico aveva detto: " Se accetto di parlarle, signora Solomon, mi farebbe la cortesia di non accennarne a suo fratello finché non avrò avuto modo di spiegargli il mio passo falso?".

"D’accordo."

"Grazie. Il mio studio si trova a Kalorama Heights." Le aveva dato l’indirizzo.

Venti minuti dopo, Katherine Solomon procedeva per le strade eleganti di Kalorama Heights. Aveva cercato di contattare il fratello a tutti i suoi numeri di telefono senza ottenere risposta. Non era eccessivamente preoccupata di non sapere dove fosse, ma il fatto che lui andasse segretamente da un medico… quello le creava una certa agitazione.

Quando, finalmente, era giunta all’indirizzo, era rimasta a fissare l’edificio, sconcertata. E questo sarebbe lo studio di un medico?

La dimora signorile, immersa in un parco lussureggiante, era dotata di una recinzione in ferro battuto e di telecamere di sorveglianza. Mentre rallentava per ricontrollare l’indirizzo, una delle telecamere aveva ruotato verso di lei e il cancello si era spalancato. Katherine aveva imboccato lentamente il vialetto di accesso e parcheggiato accanto a una limousine davanti a un garage con sei posti auto.

Che razza di dottore è questo?

Mentre scendeva dalla macchina, il portone si era aperto e una figura elegante era uscita sulla soglia. Era un uomo di bell’aspetto, decisamente alto, e più giovane di quanto lei si aspettasse. Eppure aveva la classe e l’eleganza di una persona più anziana. Era vestito in maniera impeccabile, con abito scuro e cravatta, e i capelli biondi erano pettinati con cura.

"Signora Solomon, sono il dottor Christopher Abaddon" aveva detto, con una voce che pareva un sussurro. Quando gli aveva stretto la mano, Katherine aveva sentito che era estremamente morbida e curata.

"Katherine Solomon" aveva replicato sforzandosi di non fissare la pelle di lui, insolitamente liscia e abbronzata. È truccato?

Entrando nell’atrio arredato con sfarzo, Katherine era stata assalita da un crescente senso di inquietudine. In sottofondo si sentiva della musica classica e nell’aria c’era profumo d’incenso. "È molto bello qui" aveva commentato "ma mi aspettavo… uno studio medico."

"Ho la fortuna di poter lavorare a casa." L’uomo le aveva fatto strada verso il soggiorno, dove nel caminetto era acceso un fuoco scoppiettante. "Si sieda, prego. Stavo preparando del tè. Vado a prenderlo e poi potremo parlare." Si era avviato verso la cucina scomparendo dalla vista.

Katherine Solomon non si era seduta. L’intuito femminile era un istinto potente di cui aveva imparato a fidarsi, e in quel luogo c’era qualcosa che le faceva accapponare la pelle. Non aveva visto nulla che potesse far pensare allo studio di un medico. Le pareti di quella stanza, arredata con mobili antichi, erano tappezzate di opere d’arte classicheggianti, soprattutto dipinti con strani soggetti mitologici. Si era fermata davanti a un quadro che ritraeva le Tre Grazie, i cui corpi nudi erano resi con grande realismo a colori molto vivaci.

"Quello è l’originale a olio di Michael Parkes." Il dottor Abaddon si era materializzato all’improvviso alle sue spalle portando un vassoio su cui era posata una teiera fumante. "Ci sediamo vicino al caminetto?" L’aveva invitata ad accomodarsi. "Non ha motivo di essere nervosa."

"Non sono nervosa" aveva ribattuto Katherine con eccessiva fretta.

Lui le aveva rivolto un sorriso rassicurante. "A dire il vero, il mio lavoro consiste proprio nel capire quando le persone sono nervose."

"Prego?"

"Io sono uno psichiatra, signora Solomon. È questa la mia specialità. Ormai è quasi un anno che suo fratello è in cura da me."