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A ogni nuovo mormorio indistinto di Cazaril, il rispetto e il disprezzo negli occhi della Volpe aumentavano anche se, al crescere della ricompensa, la sua voce assunse anche una nota dolorosa.

«Sei un giocatore migliore di quanto mi aspettassi, Castillar», commentò infine la Volpe, appoggiandosi all’indietro e indicando il mucchietto di pedine che simboleggiavano quanto lui era disposto a offrire. «Allora, Cazaril, che te ne pare? C’è un’offerta che quella ragazza ti possa fare e alla quale io non ne possa contrapporre una migliore?»

«Ecco, signore… Credo che lei mi darà una tenuta a Chalion, del tutto adeguata alle mie esigenze, larga un passo e lunga due, destinata a essere mia in eterno», replicò Cazaril, con un ampio sorriso. Quindi, con gentilezza, in modo da non offendere e da non dare l’impressione di sentirsi a sua volta offeso, protese la mano e spinse di nuovo le pedine verso la Volpe, aggiungendo: «Vi devo una spiegazione. Ho un tumore al ventre, e la prospettiva di morire entro breve tempo. Doni del genere sono per i viventi, non per quelli che stanno per morire».

Le labbra della Volpe si mossero senza emettere suono, stupore e sgomento si avvicendarono sul suo volto e, insieme con essi, affiorò un’insolita sfumatura di vergogna, subito repressa. «Per i cinque Dei!» esclamò con una risata. «Quella ragazza è abbastanza astuta e spietata da insegnarmi il mestiere! Non mi meraviglio più che ti abbia conferito simili poteri! Per gli attributi del Bastardo, mi ha mandato un ambasciatore incorruttibile!»

Tre pensieri si accavallarono nella mente di Cazaril: anzitutto Iselle non aveva elaborato un piano tanto astuto; in secondo luogo, se le avessero fatto notare la cosa, lei si sarebbe limitata ad archiviarla, in previsione di una necessità futura; in terzo luogo… Be’, non era necessario rivelare quei pensieri alla Volpe.

Il Roya tornò serio e lo fissò. «Mi dispiace per il tuo male, Castillar… Non è certo cosa di cui ridere», si scusò. «La madre di Bergon è morta di un tumore al seno, alla verde età di trentasei anni. Tutti i problemi che ha dovuto affrontare, sposandomi, non l’hanno mai piegata, ma alla fine…»

«Io ho trentasei anni», non poté trattenersi dal sottolineare Cazaril, in tono mesto.

«In tal caso, non hai proprio un bell’aspetto», osservò il Roya.

«Infatti», convenne Cazaril, poi raccolse l’elenco delle clausole e aggiunse: «Dunque, signore, riguardo al contratto di matrimonio…»

Le richieste contenute nell’elenco di Cazaril furono tutte approvate. Un po’ sconcertato, la Volpe propose alcune intelligenti aggiunte alle clausole relative a situazioni di emergenza, e Cazaril fu lieto di accettarle. Per salvaguardare le apparenze, il Roya continuò peraltro a sollevare proteste ancora per qualche tempo, facendo numerosi accenni all’atteggiamento sottomesso che una donna doveva mantenere nei confronti del marito — una cosa tutt’altro che diffusa nella storia recente di Ibra, anche se Cazaril evitò diplomaticamente di sottolinearlo — e al fatto che le donne troppo amanti dell’equitazione tendevano a essere dotate di un’energia innaturale.

«Rincuorati, signore», lo consolò Cazaril. «Il tuo destino non è quello di conquistare oggi una royacy per tuo figlio, bensì un impero per tuo nipote.»

La Volpe si rasserenò, e perfino il segretario si concesse un sorriso. Alla fine delle trattative, poi, il Roya gli offrì la scacchiera e i suoi pezzi come suo ricordo.

«Credo che dovrò rifiutare», replicò Cazaril, contemplando con rammarico la scacchiera, poi però gli venne un’ispirazione improvvisa. «Se però poteste farla imballare, sarò lieto di portarla a Chalion, come vostro personale dono di fidanzamento per la vostra futura nuora.»

La Volpe scoppiò a ridere e scosse il capo. «Vorrei avere anch’io un cortigiano che mi riservasse tanta fedeltà in cambio di ricompense così limitate», affermò. «Non vuoi davvero nulla per te stesso, Cazaril?»

«Voglio del tempo.»

«Non ne vogliamo tutti?» ribatté il Roya, scuotendo il capo con rammarico. «Quella però è una richiesta che devi rivolgere agli Dei, non al Roya di Ibra.»

Cazaril scelse d’ignorare quelle parole, anche se le sue labbra quasi s’incurvarono in un sorriso ironico. «Se non altro, mi piacerebbe vedere Iselle sposata, e questo è un dono che tu mi puoi fare, signore, accelerando le procedure. Inoltre è quanto mai necessario che Bergon diventi Royse-consorte di Chalion prima che Martou dy Jironal ne diventi il reggente.»

Di fronte a quella prospettiva, perfino la Volpe fu costretta ad assentire.

Quella sera, dopo l’abituale banchetto offerto dal Roya, e dopo essersi liberato di Bergon che, non potendolo ricoprire con gli onori che lui si ostinava a rifiutare, pareva deciso a imbottirlo almeno di cibo, Cazaril si fermò al Tempio. A quell’ora, le alte sale rotonde erano buie e silenziose, i fedeli quasi inesistenti, anche se le luci alle pareti e il fuoco centrale ardevano, sorvegliati dai due Accoliti del turno di guardia notturno. Ricambiato il loro cordiale saluto, Cazaril oltrepassò l’arcata decorata a mosaico che dava accesso al cortile della Figlia.

Sul pavimento c’erano splendide stuoie di preghiera, intessute dalle fanciulle e dalle dame di Ibra, che le donavano ai Templi come atto di devozione, così da risparmiare alle ginocchia e ai corpi dei fedeli il contatto col marmo gelido dei pavimenti… un’usanza che, se fosse stata imitata a Chalion, avrebbe incrementato il numero di Devoti che frequentavano i Templi durante l’inverno. Stuoie di ogni dimensione, colore e disegno erano sparpagliate intorno all’altare della Signora. Cazaril ne scelse una di lana, larga e spessa, decorata con la rappresentazione di fiori primaverili, e si prostrò su di essa, rammentando a se stesso che era lì per pregare e non per scivolare nel sonno indotto dal vino.

Durante il viaggio fino a Ibra, ogni volta che si erano fermati in una Casa della Figlia e Ferda cambiava i cavalli, lui aveva pregato… Aveva pregato che Orico fosse preservato in vita, che Iselle e Betriz fossero al sicuro, che Ista trovasse un po’ di sollievo. Soprattutto, intimidito dalla reputazione di cui godeva la Volpe, aveva pregato per il successo della sua missione, anche se quella preghiera sembrava essere stata accolta in anticipo… Ma quanto in anticipo? si chiese, accarezzando la trama della stuoia, intessuta filo per filo dalle mani pazienti di qualche donna. Forse, però, quella tessitrice non era stata affatto paziente… Forse era stata stanca, o irritata, o distratta, o affamata, o rabbiosa. Forse stava morendo, eppure le sue mani avevano continuato a muoversi.

Da quanto tempo sto camminando su questa strada?

Un tempo, avrebbe fatto risalire il vincolo con la Signora a quella moneta lasciata cadere nel fango della Baocia da un soldato goffo. Adesso, tuttavia, non era più certo che fosse così. E si era dato un’altra risposta, che tuttavia non gli piaceva affatto. L’incubo vissuto sulle galee era venuto prima della moneta nel fango. Possibile che la sofferenza e la paura fossero state manipolate dagli Dei per i loro fini? Lui era dunque soltanto una marionetta? Oppure era un mulo legato alla cavezza, cocciuto e recalcitrante, da spingere avanti a colpi di frusta? Non sapeva se sentirsi attonito o furente… Umegat aveva ribadito che agli Dei era impossibile impadronirsi della volontà di un uomo; essi potevano soltanto aspettare che tale volontà venisse loro offerta. Ma quando aveva firmato quell’intangibile contratto?

D’un tratto, ricordò.

A Gotorget, in una notte fredda e disperata, oppresso dalla fame, aveva fatto il suo solito giro di controllo sui bastioni. Arrivato sulla torre più alta, aveva congedato il ragazzo di guardia, mandandolo al coperto per qualche tempo perché si ristorasse come poteva, e si era assunto lui stesso il suo compito, fissando i fuochi da campo nemici che ardevano nel villaggio in rovina, nella valle sottostante e sui costoni circostanti. Erano luci beffarde, che parlavano di calore, di cibo, di sicurezza… Di tutte quelle cose che mancavano ai difensori, asserragliati dentro le loro mura. Aveva pianificato, temporeggiato ed esortato i suoi uomini a resistere con lealtà, tappando brecce, respingendo sortite, mangiando le cose più ignobili, respingendo le scale d’assedio e, soprattutto, pregando. Finché non aveva esaurito le preghiere.