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Anche se Dirk non era imbavagliato, non fece nessun tentativo di parlare. Rimase seduto con il freddo metallo contro la schiena e con i polsi che sfregavano contro i legacci. Aspettava, osservava ed ascoltava. Ogni tanto guardava verso Gwen, che però stava accasciata con la testa abbassata e non gli ritornava lo sguardo.

Vennero soli o a coppie. I kethi di Braith. I cacciatori di Worlorn. Vennero dalle ombre e dagli angoli bui. Simili a pallidi spettri. In un primo tempo erano solo un rumore e pallide figure, prima che si spostassero nel piccolo cerchio di luce e si ritrasformassero in uomini. Anche allora erano più che umani e meno che umani.

Il primo che arrivò conduceva quattro cani dal muso di topo e Dirk lo riconobbe perché lo aveva visto durante la folle corsa lungo la strada esterna. Il tipo attaccò i cani al paraurti della macchina di Roseph, salutò velocemente Pyr, Roseph ed i loro teyn, poi si sedette con le gambe incrociate a pochi metri dai prigionieri. Non parlò, non subito. Teneva gli occhi fissi su Gwen e non li spostò mai. Dirk sentiva i suoi cani che ringhiavano lì accanto nel buio, mentre le loro catene di acciaio si torcevano e sferragliavano.

Poi vennero gli altri. Lorimaar alto-Braith, un gigante bruno con un vestito nerissimo di tessuto camaleontino allacciato con pallidi bottoni d’osso. Arrivò a bordo di una macchina massiccia, rosso scura. Dentro, Dirk sentì abbaiare una muta di cani Braith. Con Lorimaar c’era un altro uomo, un uomo grasso e squadrato due volte più pesante di Pyr, col corpo duro e solido come mattone, il viso pallido e porcino. Dietro di loro, a piedi, veniva un vecchio dall’apparenza fragile, calvo e rugoso e quasi senza denti. Una mano era di carne e di ossa e l’altra era formata da tre punte che costituivano un artiglio di nero metallo. Il vecchio aveva una testa di bambino appesa alla cintura; stava sanguinando ancora e su una gamba dei suoi calzoni bianchi c’era la traccia marrone del sangue che era gocciolato.

Alla fine arrivò Chell, alto come Lorimaar, con i capelli bianchi, con i baffi e stanchissimo, conducendo un unico cane Braith. Arrivato al cerchio di luce si fermò e sbatté gli occhi.

«Dov’è il tuo teyn?», domandò Pyr.

«Eccomi». Una voce gracchiante dall’oscurità. A pochi metri di distanza si vedeva scintillare un’unica pietraluce. Bretan Braith Lantry si fece avanti e si mise vicino a Chell. Il suo viso ebbe un guizzo.

«Siamo tutti», disse Roseph alto-Braith a Pyr.

«No», obiettò qualcuno. «Manca Koraat».

Il cacciatore silenzioso parlò seduto presso il pavimento. «Non è più. Ha chiesto di morire. Io lo ho accontentato. Per la verità aveva una brutta frattura. È stato il secondo keth che ho visto morire oggi. Il primo è stato il mio teyn, Teraan Braith Nalarys». Mentre parlava non smise mai di fissare Gwen. Terminò con una frase lunga in Antico Kavalar, detta tutta d’un fiato.

«Tre dei nostri se ne sono andati», disse il vecchio.

«Dovremmo rispettare una pausa di silenzio per loro», disse Pyr. Teneva sempre in mano il suo bastone, con il pomo di legno duro ed il corto pugnale e lo batteva continuamente contro la gamba mentre parlava, proprio come faceva nella galleria.

Gwen cercò di gridare malgrado il bavaglio. Il teyn di Pyr, il Kavalar linfatico con i capelli neri, le fu subito sopra minaccioso.

Ma Dirk, che non era imbavagliato, aveva afferrato l’idea. «Non me ne starò zitto», gridò. O per lo meno tentò. La sua voce non era assolutamente in grado di gridare. «Erano degli assassini, tutti quanti. Con l’unico scopo di uccidere».

Tutti i Braith lo stavano guardando.

«Imbavagliatelo e fatelo smettere di strillare», disse Pyr. Il suo teyn si mosse rapidamente per eseguire l’ordine. Quando ebbe finito, Pyr parlò ancora. «Avrai tutto il tempo di strillare, Dirk t’Larien, quando scapperai nudo per la foresta e sentirai abbaiare i miei cani dietro di te».

La testa e le spalle di Bretan si voltarono goffamente. La luce scintillava sulla sua pelle devastata. «No», disse. «Sono stato io il primo a reclamarlo».

Pyr lo affrontò. «Sono stato io a catturare il falsuomo. È mio».

Bretan ebbe uno scatto. Chell, che teneva sempre il grosso cane per la catena avvolta attorno ad una delle grosse mani, posò l’altra mano sulla spalla di Bretan.

«Questa è una cosa che non mi interessa», disse un’altra voce. Il Braith che era seduto sul pavimento. Fissava. Immobile. «Che ne facciamo della puttana?».

Gli altri spostarono malvolentieri la loro attenzione. «Lei non è disponibile, Myrik», disse Lorimaar alto-Braith. «È di Ferrogiada».

Le labbra dell’uomo si ritrassero di scatto; per un momento il suo viso placido fu distorto da un’espressione selvaggia, diventò la faccia di una bestia, un rictus di emozioni. Poi passò. La sua espressione diventò di nuovo tranquilla, completamente sotto controllo. «Ammazzerò questa donna», disse. «Teraan era mio teyn. È stata lei che ha lasciato il suo spettro a vagare per un mondo senz’anima».

«Lei?». La voce di Lorimaar era incredula. «Dici la verità?».

«L’ho visto», rispose l’uomo sul pavimento, quello chiamato Myrik. «Le ho sparato addosso quando si è lanciata contro di noi, lasciando Teraan morente. Questa è la verità, Lorimaar alto-Braith».

Dirk cercò di alzarsi in piedi, ma il Kavalar smunto lo spinse di nuovo giù, violentemente e gli fece battere la testa contro il fianco metallico dell’aerauto, per sottolineare l’azione.

Allora parlò il fragile vecchio… il patriarca artigliato, che portava la testa di bambino. «Allora prendila come tua preda personale», disse, con la voce sottile e acuta come la lama del coltello da scuoiatore che portava appesa alla cintura. «La sapienza delle granleghe è vecchia e sicura, fratelli. Lei non è più una vera donna, ammesso che lo sìa mai stata, non è più una quasi-moglie e nemmeno una eyn-keth. C’è qualcuno che la reclama? Ella ha abbandonato la protezione del suo altolegato per scappare con un falsuomo! Anche se una volta è stata carne di uomo, adesso non lo è più. Voi conoscete i sistemi dei falsuomini, i bugiardi, i lupi mannari, i grandi truffatori. Solo con lei nel buio, questo falsuomo Dirk l’avrà sicuramente uccisa ed al suo posto avrà messo un demonio come lui, costruito con l’apparenza di lei».

Chell annuì affermativamente e disse qualcosa di profondo in Antico Kavalar. Gli altri Braith parevano meno sicuri. Lorimaar scambiava occhiate con il suo teyn, l’uomo grasso e squadrato. La spaventosa faccia di Bretan era indifferente, per metà maschera di tessuto scarnificato, per metà vuota innocenza. Pyr aggrottò la fronte e continuò a battere insistentemente con il suo bastone.

Fu Roseph a rispondere. «Quando sono stato arbitro al quadrato della morte, ho stabilito che Gwen Delvano era umana», disse scandendo le parole.

«Questo è vero», disse Pyr.

«Forse era umana allora», disse il vecchio. «Ma adesso ha assaggiato il sangue ed ha dormito con un falsuomo. Chi avrà il coraggio di chiamarla ancora umana?».

I cani cominciarono ad ululare.

I quattro che Myrik aveva legato alla macchina cominciarono la canizza, che fu continuata dalla muta che era chiusa dentro il veicolo a cupola di Lorimaar. Il cane enorme di Chell ringhiò e tirò la catena, finché il Braith più anziano ebbe uno scatto iroso; allora la creatura si accucciò e si uni agli ululati.

Quasi tutti i cacciatori puntarono lo sguardo nell’oscurità che li circondava (Myrik, con la faccia immobile come congelata era l’unica eccezione: gli occhi non abbandonavano mai Gwen Delvano). Più di uno si portò la mano alla fondina.

Ai bordi del cerchio, al di là delle aerauto e della pozza di luce, c’erano i due Ferrogiada, uno accanto all’altro nell’ombra.

Il dolore di Dirk — aveva la testa che gli martellava — gli parve improvvisamente di poca importanza. Il suo corpo tremava ed era scosso. Guardò Gwen; aveva alzato gli occhi verso di loro. Soprattutto verso Jaan.