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«Perché hai messo via il mantello?», disse lui mentre lei si rimetteva i vestiti. Lei aveva spruzzato tutto quando: il pacco di sensori, le provviste d’emergenza, il suo braccialetto giada-e-argento… tutto tranne il mantello bruno di Arkin. Dirk lo toccò con la punta dello stivale.

Gwen lo raccolse e lo gettò dall’altra parte del guardrail, sul nastro veloce che si muoveva verso l’alto. Lo videro retrocedere e poi scomparire. «Tu non ne hai bisogno», disse Gwen quando il mantello fu scomparso. «Può darsi che riesca a condurre la muta dalla parte sbagliata. Si convinceranno di averci seguiti per tutta la lunghezza della strada».

Dirk pareva dubbioso. «Può darsi», disse, gettando uno sguardo alla parete più interna. Apparve il livello 472 e scomparve. «Penso che dovremmo filarcela», disse lui improvvisamente. «Andarcene dalla strada».

Gwen lo guardò, interrogativamente.

«L’hai detto anche tu», disse lui. «Quelli che ci stanno dietro arriveranno per lo meno fino alla fine della strada. Ma se hanno già cominciato a scendere, il mantello non potrà trarli in inganno a lungo. Lo vedranno passare accanto a loro e si metteranno a ridere».

Gwen sorrise. «Concesso. Ma valeva la pena di tentare».

«Immagina che adesso ci stiano seguendo…».

«Dobbiamo aver preso un buon vantaggio a questo punto», lo interruppe lei. «Non potrebbero condurre una muta di cani su dei marciapiedi, il che significa che sono certamente a piedi»; «E allora? La strada non è affatto sicura, Gwen. Senti, lassù non ci può essere Bretan, che infatti si trova nei sottolivelli. E probabilmente non c’è nemmeno Chell, ti pare?».

«No. Un Kavalar caccia sempre con il suo teyn. Non si separano mai».

«Lo pensavo anch’io. Così ne abbiamo un paio che fanno i giochini con l’elettricità sotto di noi ed un altro paio alle nostre spalle. Quanti altri saranno che ci corrono dietro? Sei in grado di rispondermi?».

«No».

«Direi che sono un bel po’, mi pare; e anche se non è così è meglio che ci prepariamo al peggio e ce ne andiamo di qui. Se ci fossero degli altri Braith sparpagliati per la città e se questi fossero in contatto con i cacciatori dietro di noi, quelli dietro potrebbero dire agli altri di sbarrare la strada».

Gwen strizzò gli occhi. «Forse no. Spesso i gruppi di cacciatori lavorano assieme. Ogni coppia vuole uccidere per ottenere i propri trofei. Maledizione, ma vorrei proprio avere un’arma!».

Dirk ignorò il suo commento finale. «Non possiamo correre dei rischi», disse lui. Non aveva finito di parlare che le luci che brillavano sulle loro teste cominciarono a vacillare, per poi sbiadire improvvisamente in un pallido grigiore incerto. Improvvisamente il marciapiede sotto di loro diede uno strappo e prese a rallentare. Gwen cadde per terra. Dirk la tirò su e la tenne per un braccio. La prima a fermarsi fu la cinghia più lenta, poi quella accanto alla loro ed alla fine il discensore su cui si trovavano.

Gwen tremò e lo guardò e Dirk la tenne ancora più stretta, cercando di trarre la sicurezza di cui aveva disperatamente bisogno dal calore e dalla vicinanza del suo corpo.

Sotto di loro — Dirk avrebbe giurato che il rumore veniva da sotto di loro, in direzione del marciapiede che li aveva portati fino lì risuonò brevemente uno strillo da fare accapponare la pelle e nemmeno era troppo lontano.

Gwen si liberò dalla sua stretta. Non parlarono. Si spostarono da un nastro all’altro, attraversarono le corsie vuote e buie e si avviarono verso il passaggio che conduceva lontano dalla pericolosa strada, verso i corridoi. Dirk guardò i numeri mentre passavano dalla debole luce grigia a quella azzurra: livello 468. Quando ebbero sotto i piedi i tappeti che attutivano i rumori dei passi, cominciarono a correre, si mossero rapidamente lungo il primo corridoio, poi voltarono e rivoltarono, a volte a destra a volte a sinistra, scegliendo a caso la direzione da prendere. Corsero finché entrambi furono senza fiato. A questo punto si fermarono e caddero sui tappeti sotto la luce di un crepuscolare globo azzurrino.

«Che cosa è stato?», disse alla fine Dirk, quando riuscì a trovare un po’ di fiato.

Gwen stava ancora sbuffando e soffiando per la fatica della corsa. Avevano fatto un percorso lunghissimo. Lei cercava di riprendere fiato. «Tu che cosa pensi che fosse?», disse alla fine lei, con un tono acuto nella voce. «Era un falsuomo che strillava».

Dirk aprì la bocca e sentì che sapeva di sale. Si toccò le guance e se le sentì umide e si chiese da quanto tempo stesse piangendo. «Ci sono altri Braith, allora», disse lui.

«Sotto di noi», disse lei. «Ed hanno trovato una vittima. Maledetti, maledetti, maledetti! Siamo stati noi a portarli qui, è colpa nostra. Come abbiamo fatto a essere così stupidi? La paura di Jaan era che loro cominciassero a cacciare nelle città».

«Hanno cominciato ieri», disse Dirk, «con i bambini di gelatina Nerovini. Era solo questione di tempo, poi sarebbero venuti qui comunque. È inutile prendersi tutta…».

Lei volse il viso verso di lui, la faccia era tesa nella rabbia, le guance striate di lacrime. «Che cosa?», lo fulminò lei. «Tu pensi che noi non siamo responsabili? E chi altro, allora? Bretan Braith ha seguito te, Dirk. Perché siamo venuti qui? Avremmo potuto andare a Dodicesimo Sogno, a Musquel, e Esvoch. Città vuote. Non avremmo danneggiato nessuno. Invece abbiamo danneggiato questi Emereli… Quanti residenti ha detto la Voce che c’erano?».

«Non mi ricordo. Quattrocento, più o meno. Una cosa del genere». Cercò di metterle una mano sulle spalle e di trarla a sé, ma lei si divincolò e lo fissò.

«È colpa nostra», disse. «Dobbiamo fare qualcosa».

«L’unica cosa che possiamo fare è cercare di rimanere vivi», le disse lui. «Ci stanno inseguendo, ti ricordi? Non abbiamo tempo per pensare agli altri».

Gwen lo fissava e sul suo viso c’era… che cosa?… forse disprezzo, pensò Dirk. Quello sguardo lo scosse.

«Non credo a ciò che dici», disse lei. «Non sei capace di pensare a quelli che ti stanno vicino? Accidenti, Dirk, noi per lo meno ci siamo portati l’annulla-scia, per lo meno quello. Gli Emereli non hanno proprio niente. Nessuna arma, nessun sistema di difesa. Sono falsuomini, giocattoli, ecco tutto. Dobbiamo fare qualcosa!».

«Che cosa? Fare un bel suicidio? È questo che vuoi? Tu non volevi che questa mattina io affrontassi Bretan in duello, ma adesso tu…».

«Sì! Adesso dobbiamo. Non avresti parlato così quando eravamo su Avalon», disse lei e la sua voce si alzò fin quasi a diventare un grido. «Allora tu eri diverso. Jaan non avrebbe…».

Si fermò, improvvisamente conscia di ciò che aveva detto e si voltò dall’altra parte. Poi cominciò a singhiozzare. Dirk era assolutamente immobile.

«Allora è così», disse dopo un po’ lui. La sua voce era calma. «Jaan non penserebbe a se stesso, giusto? Jaan farebbe la parte dell’eroe».

Gwen lo guardò di nuovo. «Lui sì e tu lo sai».

Dirk annuì. «Lo farebbe. Forse lo avrei fatto anch’io, una volta. Forse hai ragione. Può darsi che io sia cambiato. Non so più niente». Si sentiva male, stanco e fallito. Ma soprattutto era la vergogna. I suoi pensieri andavano avanti e indietro e giravano e giravano. Avevano ragione tutti e due, pensava lui. Erano loro che avevano condotto i Braith a Sfida, verso centinaia di vittime innocenti. Erano loro i colpevoli; Gwen aveva ragione. Eppure, anche lui aveva ragione, e adesso non avrebbero potuto farci niente, niente. Se questo pensiero era egoistico non era per altro meno vero.

Gwen stava piangendo forte. Cercò di allungare una mano verso di lei e questa volta lei lo lasciò fare in modo che la confortasse con le sue mani. Eppure, mentre lui le pettinava i lunghi capelli neri e combatteva per ricacciare in gola le sue stesse lacrime, sapeva che non andava bene, che niente era cambiato. I Braith cacciavano ed ammazzavano… ma lui non li poteva fermare. Forse non sarebbe nemmeno riuscito a salvare se stesso. In fondo non era affatto l’antico Dirk, il Dirk di Avalon, no. E la donna che stringeva nelle braccia non era Jenny. Ma tutti e due erano delle prede.