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Dirk rimase sveglio per gran tempo, pensando a tutto ciò che aveva letto con gli occhi fissi al soffitto e diventando sempre più arrabbiato man mano che ci pensava. Quando la prima luce dell’alba cominciò a filtrare lentamente dalla finestra che aveva sul capo, aveva deciso. In un certo senso non aveva più nessuna importanza se Gwen ritornava da lui o no, ma doveva assolutamente lasciare Vikary e Janacek e tutta la stramaledetta società di Alto Kavalaan. Ma da sola lei non sarebbe mai riuscita a rompere col passato, per quanto lo desiderasse. Benissimo allora, Arkin Ruark aveva ragione; lui avrebbe aiutato Gwen. L’avrebbe aiutata ad essere libera. E dopo ci sarebbe stato tempo per pensare alla loro relazione.

Alla fine, dopo aver preso una decisione precisa, Dirk si addormentò.

Quando si svegliò era mezzogiorno. Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di essere colpevole. Si sedette sul letto, sbatté gli occhi e si ricordò che aveva promesso a Gwen di salire quel mattino e adesso la mattina era passata e lui aveva dormito più del solito. Si alzò in fretta e si vestì, si guardò attorno per trovare Ruark… il Kimdissi se ne era andato e non c’era niente che gli facesse capire dove era andato, o per quanto tempo… poi andò all’appartamento di Gwen, con la tesi di Vikary ben stretta sotto il braccio.

Bussò e venne ad aprirgli Garse Janacek.

«Sì?», disse il Kavalar con la barba rossa, aggrottando la fronte. Era nudo fino alla vita, indossava solo un paio di pantaloni molto comodi ed il solito braccialetto di ferro-e-pietraluce al braccio destro. Dirk capi subito perché Janacek non indossava le camicie con il collo a V, che parevano piacere tanto a Vikary; la parte sinistra del suo torace, dall’ascella al petto, recava una cicatrice lunga e tormentata, liscia e dura.

Janacek seguì il suo sguardo. «Un duello andato male», scattò lui. «Ero troppo giovane. Non capiterà più. Allora, di cosa ha bisogno?».

Dirk arrossì. «Voglio vedere Gwen», disse.

«Non è qui», disse Janacek, con gli occhi di ghiaccio, duri e privi di amicizia. Fece per chiudere la porta.

«Aspetti». Dirk fermò la porta con la mano.

«C’è altro? Che cos’è?».

«Gwen. Era inteso che ci saremmo visti. Dove si trova?».

«Nella foresta, t’Larien. Sarei grato che lei si ricordasse che Gwen è un’ecologa, mandata qui dagli altolegati di Ferrogiada per svolgere un lavoro importante. Gwen ha abbandonato il lavoro per due giorni interi per scarrozzare lei avanti ed indietro. Adesso, come è giusto, è tornata al lavoro. Lei ed Arkin Ruark hanno preso i loro strumenti e se ne sono andati nella foresta».

«Non mi aveva detto niente ieri sera», insistette Dirk.

«Non ha nessun dovere di informare lei di quello che ha intenzione di fare», disse Janacek. «Del resto non ha bisogno di avere il suo permesso per le sue cose. Non ci sono vincoli tra di voi».

Ricordando la lite che aveva spiato la sera prima, Dirk diventò improvvisamente sospettoso. «Posso entrare?», disse. «Vorrei restituire questo a Jaan e parlarne con lui», aggiunse, mostrando a Garse la tesi rilegata in cuoio. Per la verità sperava di poter vedere Gwen, di scoprire se la tenevano lontana da lui. Ma non era certo facile dire una cosa del genere; Janacek sprizzava ostilità da tutti i pori e non era certo la cosa migliore cercare di spingerlo da parte.

«Al momento Jaan non è in casa. Non c’è nessuno oltre a me. E anch’io sto per andarmene». Allungò una mano e strappò via la tesi dalle mani di Dirk. «Comunque prenderò questa roba. Gwen non avrebbe dovuto dargliela».

«Ehi!», disse Dirk. Ebbe come un impulso. «La storia era molto interessante», disse in fretta. «Non posso entrare e parlarne con lei? Un secondo o due… non voglio farle perdere tempo».

All’improvviso Janacek parve cambiare idea. Sorrise, lo lasciò passare e gli fece strada nell’appartamento.

Dirk gettò un rapido sguardo all’intorno. Il soggiorno era deserto, il caminetto era freddo; non c’era niente che sembrasse fuori posto o mancante. Anche la sala da pranzo, che era visibile attraverso un arco aperto, era vuota. Tutto l’appartamento era tranquillo. Nessun segno di Gwen o di Jaan. Da ciò che lui poteva vedere, pareva che Janacek gli avesse detto la verità.

Incerto, Dirk girò per la stanza, fermandosi presso la cappa con le cariatidi. Janacek lo osservò senza parlare, poi si voltò ed uscì, per ritornare poco dopo. Si era messa la sua cintura di maglia metallica con il fodero e si stava abbottonando una camicia sbiadita.

«Dove sta andando?», chiese Dirk.

«Fuori», rispose Janacek con un breve ghigno. Sbottonò la falda del fodero e trasse la pistola a laser, controllò il quadrante di carica sul lato del calcio, poi la rinfoderò e la trasse di nuovo fuori — un movimento continuo e controllato della mano destra — e guardò Dirk. «Le faccio paura?», chiese.

«Sì», disse Dirk. Si allontanò dalla cappa.

Janacek riprese a sorridere. Fece scivolare il laser nella fondina. «Sono piuttosto bravino con il laser da duello», disse, «anche se, per la verità, è meglio il mio teyn. Naturalmente io posso usare solo la mano destra. La sinistra mi fa ancora male. La pelle cicatrizzata mi tira ed anche i muscoli del torace non si muovono con la stessa facilità di quelli dalla parte destra. Però non mi interessa granché. Io sono soprattutto un mandestro. Il braccio destro è sempre meglio del sinistro, capisce». Continuava a tenere la mano destra sulla pistola mentre parlava e le pietreluce incastonate nel ferro nero scintillavano come piccoli occhi sul suo braccio.

«Certo che è stata una brutta ferita».

«Ho fatto uno sbaglio, t’Larien. Forse ero troppo giovane, ma il mio era un errore che a quell’età non avrei dovuto fare. Errori come quello possono essere una cosa molto seria e, del resto, sono riuscito a cavarmela con poco». Guardava Dirk fissamente. «Si dovrebbe fare molta attenzione a non fare mai sbagli».

«Ah!», disse Dirk con un sorriso innocente.

Per un po’ Janacek non disse niente. Poi, alla fine disse: «Credo che lei sappia di cosa sto parlando».

«Davvero?».

«Sì. Lei non è un uomo poco intelligente, t’Larien. E nemmeno io. I suoi trucchetti da ragazzino non mi divertono. Lei non ha niente da discutere con me, ad esempio. Lei voleva semplicemente introdursi in questa stanza per qualche sua ragione».

Il sorriso di Dirk svanì. Annuì. «Va bene. Un trucco pidocchioso, chiaro, lei lo ha capito benissimo. Volevo vedere se c’era Gwen».

«Le avevo già detto che era uscita per andare nella foresta, a lavorare».

«Non le credo», disse Dirk. «Altrimenti ieri sera mi avrebbe detto qualcosa. Lei cerca di tenermi lontano da Gwen. Perché? Che cosa succede?».

«Niente che le possa interessare», disse Janacek. «Veda di capirmi, t’Larien, se crede. Forse per lei, come per Arkin Ruark, io sono un bruto. Lei può pensarlo se vuole. Non me ne frega granché. Ma non sono un bruto. Ecco perché la mettevo in guardia dal commettere errori. Ecco perché l’ho fatta entrare, anche se sapevo benissimo che non aveva niente da dirmi. Perché io avevo da dirle qualcosa».

Dirk si appoggiò allo schienale del divano ed annuì. «Va bene Janacek, vada avanti».

Janacek aggrottò la fronte. «Il suo problema, t’Larien, è che lei sa poco e capisce anche meno sia Jaan che me e il nostro mondo».

«So più di quel che pensa».

«Davvero? Ha letto le cose che ha scritte Jaan sui Demoncanti ed indubbiamente le hanno detto qualcosa. E allora cosa significa? Lei non è un Kavalar, direi, eppure se ne sta qui in piedi davanti a me e le leggo il giudizio che ha ormai espresso negli occhi. Ma con quale diritto? Chi è lei per giudicare? Lei ci conosce appena. Le voglio fare un esempio. Non più di un secondo fa lei mi ha chiamato Janacek».

«Questo è il suo nome, non è così?».

«Questa è una parte del mio nome, l’ultima parte, la minore e la più piccola parte di ciò che io sono. È il nome che mi sono scelto, il nome di un antico eroe dell’Unione Ferrogiada che visse una vita lunga ed edificante, molte volte onorevole, difendendo la sua granlega ed il suo kethi nell’altaguerra. Naturalmente so benissimo perché lei mi chiama così. Sul suo mondo e secondo il vostro sistema di dare i nomi, è normale chiamare quelli con cui ci si sente distanti o verso cui si prova ostilità solo con l’ultima parte del nome… un intimo lei lo chiamerebbe con il primo nome, non è vero?».