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S'interruppe per respirare. Non era facile parlare indossando uno di quei filtri, e lui sentiva il bisogno sempre maggiore di conservare le proprie forze. Ormai Sessui e gli altri potevano badare a se stessi, ma lui doveva fare un'altra cosa, e prima la faceva meglio era.

Morgan si girò verso Chang e disse tranquillamente: — Per favore, aiutatemi a rimettermi la tuta. Voglio ispezionare il binario.

— La vostra tuta può resistere solo trenta minuti!

— Avrò bisogno di dieci minuti, quindici al massimo.

— Dottor Morgan, io sono un operatore spaziale specializzato, voi no. Nessuno può uscire nello spazio con una tuta che ha ossigeno per trenta minuti senza una bombola di riserva, o senza il cordone ombelicale. Tranne che per emergenza ovviamente.

Morgan gli rivolse un sorriso stanco. Chang aveva ragione, e la scusa del pericolo immediato non reggeva più. Ma un'emergenza era tale quando lo decideva l'ingegnere capo.

— Voglio vedere i danni — rispose — ed esaminare i binari. Sarebbe terribile se quelli della Stazione Dieci C non potessero raggiungervi perché non sono al corrente di qualche ostacolo.

Chiaramente Chang non era troppo felice della situazione (cosa diavolo aveva raccontato quella chiacchierona di CORA mentre lui era svenuto?), ma non sollevò altre obiezioni. Accompagnò Morgan al portello nord.

Appena prima di abbassare il visore, Morgan chiese: — Altre noie col professore?

Chang scosse la testa. — Credo che il CO2 abbia rallentato i suoi ritmi. E se ricomincia… Be', siamo sei contro uno, anche se non sono sicuro di poter contare sui suoi studenti. Alcuni sono matti come lui. Prendete quella ragazza che continua a scarabocchiare su un foglio. È convinta che il sole stia per spegnersi o per scoppiare, non ho capito bene, e vuole avvertire il mondo prima di morire. Sai a cosa servirebbe! Io preferirei non sapere niente.

Morgan non poté impedirsi di sorridere, ma era certo che nessuno degli studenti del professore fosse pazzo. Eccentrici, forse, ma anche molto intelligenti; se no non avrebbero lavorato con Sessui. Un giorno doveva scoprire di più sugli uomini e le donne a cui aveva salvato la vita; però prima dovevano ritornare tutti sulla Terra, seguendo percorsi divergenti.

— Farò un giro veloce attorno alla Torre — disse Morgan — e vi descriverò tutti i danni in modo che possiate comunicarli alla Stazione di Mezzo. Non ci metterò più di dieci minuti. Ma se dovessi metterci di più… Be', non cercate di venire a riprendermi.

Chang chiuse il portello interno della camera d'equilibrio e gli indirizzò una risposta molto pratica. — Come diavolo potrei venirvi a prendere? — gli chiese.

56

Uno sguardo dal ponte

Il portello esterno della camera d'equilibrio nord si spalancò senza difficoltà, incorniciando un rettangolo di oscurità completa. In quel buio correva, in senso orizzontale, una linea di fuoco: il corrimano di sicurezza del ponte di impalcatura, illuminato dal raggio del proiettore che saliva fin lì dalla montagna in basso. Morgan respirò a fondo e fletté la tuta. Si sentiva perfettamente a proprio agio. Fece un cenno di saluto a Chang che lo guardava dall'oblò del portello interno. Poi uscì dalla Torre.

Il ponte di impalcatura che circondava le fondamenta era una griglia di metallo larga circa due metri. Poi c'era la rete di sicurezza, che sporgeva nello spazio di altri trenta metri. La parte di rete che Morgan riusciva a vedere non aveva imprigionato niente, in tanti anni di attesa paziente.

Iniziò la circumnavigazione della Torre, riparandosi gli occhi dal bagliore che giungeva dal basso. L'illuminazione obliqua mostrava ogni ammaccatura e imperfezione della superficie che, sopra la sua testa, si tendeva come una passerella verso la stelle; e in un certo senso lo era.

Come sperava e prevedeva, la esplosione sull'altro lato della Torre non aveva prodotto nessun danno lì: ci sarebbe voluta una bomba atomica, non una semplice bomba elettro-chimica. Le scanalature parallele dei binari, in attesa dell'arrivo della prima capsula, si protendevano verso l'alto all'infinito, perfette come quando erano state costruite. E cinquanta metri più sotto, anche se il proiettore rendeva difficile guardare in quella direzione, riusciva a scorgere i respingenti, pronti per un compito che non avrebbero mai dovuto eseguire.

Prendendosela calma, restando ben vicino alla superficie liscia della Torre, Morgan s'incamminò lentamente verso ovest, raggiunse il primo angolo. Prima di superarlo si voltò a guardare il portello spalancato della camera d'equilibrio, che rappresentava una sicurezza, per quanto relativa. Poi proseguì arditamente lungo la spoglia facciata ovest.

Provava un curioso miscuglio di ebbrezza e paura, come ormai non sentiva più da quando aveva imparato a nuotare e si era trovato, per la prima volta, in acque dove non toccava. Era certo che non ci fosse pericolo, però "poteva" essercene. La presenza di CORA, per il momento tranquilla, era viva dentro di lui; ma Morgan non aveva mai sopportato di lasciare un lavoro a metà, e la sua missione non era ancora completa.

La facciata ovest era esattamente identica alla nord, solo che non c'erano portelli. Nemmeno lì riscontrò tracce di danni, per quanto si trovasse più vicino al punto dell'esplosione.

Represse l'impulso di affrettarsi (dopo tutto era lì fuori da tre minuti appena) e avanzò lentamente verso l'angolo successivo. Ancora prima di averlo superato si accorse che non avrebbe potuto compiere l'intero giro della Torre. Il ponte di impalcatura era lacerato, penzolava nello spazio come una lingua di metallo contorto. La rete di sicurezza era scomparsa del tutto, senz'altro travolta dalla capsula che precipitava.

"Non devo sfidare la sorte" si disse Morgan. Ma non poté resistere alla tentazione di dare una occhiata dietro l'angolo, aggrappandosi alla parte di ringhiera che ancora restava.

Sui binari c'erano parecchi detriti, e l'esplosione aveva scolorito la superficie della Torre. Ma, da quanto riusciva a vedere, anche lì sarebbero bastati pochi uomini col cannello da taglio, e il lavoro d'un paio d'ore, per aggiustare tutto. Trasmise un'accurata descrizione dei danni a Chang, che si dimostrò sollevato e incitò Morgan a rientrare nella Torre il più in fretta possibile. — Non preoccupatevi — disse Morgan. — Mi restano ancora dieci minuti e devo percorrere solo trenta metri. Ormai potrei farcela anche solo con l'aria che ho nei polmoni.

Ma non aveva intenzione di provare l'esattezza della teoria. Quella notte era già stata abbastanza movimentata. Più che abbastanza, a sentire CORA. D'ora in poi avrebbe sempre obbedito ai suoi ordini.

Tornato davanti al portello aperto, si fermò a fianco della ringhiera per qualche momento, incantato dalla fontana di luce che saliva dalla cima di Sri Kanda, tanto più in basso. L'ombra prodotta dalla luce, immensamente oblunga, si proiettava sulla Torre e saliva in verticale verso le stelle. Quell'ombra doveva proseguire per migliaia di chilometri; Morgan pensò che forse arrivava fino alla capsula che stava scendendo dalla Dieci C. Se agitava le braccia, forse gli uomini a bordo avrebbero visto i suoi segnali; forse poteva parlare con loro nell'alfabeto Morse.

Quell'ironica fantasia gli ispirò un pensiero molto più serio. Era meglio aspettare lì con gli altri, ed evitare il rischio del viaggio di ritorno alla Terra sul Ragno? Ma il viaggio fino alla Stazione di Mezzo, dove avrebbe potuto affidarsi alle cure dei medici, richiedeva una settimana. Non era un'alternativa intelligente, visto che in meno di tre ore poteva essere di ritorno a Sri Kanda.

Era tempo di rientrare. L'ossigeno era quasi finito, e non c'era nient'altro da vedere. Ironia terribile, considerata la visuale spettacolare che in condizioni normali si sarebbe goduta da lì, fosse giorno o notte. Però in quel momento il pianeta che aveva sotto e il cielo che aveva sopra erano nascosti dal fascio di luce accecante di Sri Kanda. Morgan fluttuava in un esile universo di luce, circondato su ogni lato dall'oscurità più totale. Era quasi impossibile credere di trovarsi nello spazio, se non altro perché avvertiva il proprio peso. Si sentiva sicuro come se fosse stato sulla cima della montagna, e non seicento chilometri più in alto. Quello era un pensiero da assaporare e da riportare sulla Terra.