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L'uomo adatto

— Possiamo farcela — disse Warren Kingsley con un sorriso ampio, — Il Ragno può arrivare alle fondamenta.

— Siete riusciti ad aumentare la potenza d'alimentazione?

— Sì, ma è un'idea semplicissima. Sarà un'operazione a due stadi, come per i primi razzi. Non appena la batteria esterna si esaurisce, deve essere sganciata per alleggerire il Ragno del peso extra. Il che accadrà all'incirca a un'altezza di quattrocento chilometri. La batteria interna porterà su il Ragno per gli altri chilometri.

— E così che capacità di carico abbiamo?

Il sorriso di Kingsley svanì.

— Minima. Circa cinquanta chili, con le migliori batterie che possediamo.

— Cinquanta chili! E a cosa serviranno?

— Dovrebbero essere sufficienti. Un paio di quei nuovi serbatoi a mille atmosfere, contenenti ciascuno cinque chili di ossigeno. Maschere molecolari filtranti per non lasciar passare l'anidride carbonica. Un po' di acqua e cibo compresso. Qualche medicinale. Basteranno meno di quarantacinque chili per tutta questa roba.

— Puà! E basteranno?

— Sì. Li terremo in vita finché non arriva la capsula dalla Stazione Dieci C. Se sarà necessario, il Ragno potrà fare un secondo viaggio.

— Bartok che ne pensa?

— È d'accordo. Dopo tutto, nessuno ha idee migliori.

Morgan si sentì come se gli avessero tolto un peso enorme dalle spalle. Molte cose ancora potevano andare male, ma almeno c'era un raggio di speranza; la sensazione di disperazione totale era scomparsa.

— Quando saremo pronti? — chiese.

— Se non si verificano contrattempi, fra due ore. Tre al massimo. Per fortuna si tratta di pezzi standard. In questo momento stanno già mettendo a punto il Ragno. Resta una sola cosa da decidere…

Vannevar Morgan scosse la testa. — No, Warren — rispose lentamente, con una voce calma, implacabile, decisa, che il suo amico non aveva mai udito. — Non c'è più niente da decidere.

— Non sto ancora cercando di esercitare pressioni su di voi, Bartok — disse Morgan. — È una questione di pura logica. È vero, chiunque può guidare un Ragno; però solo una mezza dozzina di uomini conoscono "tutti" i particolari tecnici indispensabili. Può darsi che si crei qualche problema operativo quando raggiungiamo la Torre, e io sono nella posizione migliore per risolverli.

— Posso ricordarvi, dottor Morgan — disse l'ufficiale addetto alla sicurezza — che avete sessantacinque anni? Sarebbe più saggio mandare qualcuno più giovane di voi.

— Non ho sessantacinque anni; ne ho sessantaquattro. E l'età non c'entra proprio per niente. Non esistono pericoli, e non occorre nessuna forza fisica.

E poi, avrebbe potuto aggiungere, i fattori psicologici sono molto più importanti di quelli fisiologici. Praticamente tutti erano in grado di correre in su e in giù, passivamente, in una capsula, come aveva fatto Maxine Duval e come milioni di altre persone avrebbero fatto in futuro. Però era tutta un'altra faccenda padroneggiare le situazioni impreviste che potevano venirsi a creare a seicento chilometri d'altezza, nel cielo deserto.

— Continuo a pensare — disse l'ufficiale alla sicurezza Bartok, con gentile insistenza — che sarebbe meglio mandare un uomo più giovane. Il dottor Kingsley, ad esempio.

Alle sue spalle, Morgan udì (o se l'era immaginato?) l'improvvisa pausa nel respiro del collega. Per anni avevano scherzato sul fatto che Waren soffriva talmente di vertigini che non ispezionava mai le strutture da lui progettate. La sua paura non era un'acrofobia vera e propria, e se era assolutamente necessario riusciva a vincersi; dopo tutto, era passato con Morgan sul Ponte che univa l'Africa all'Europa. Ma era stata la prima volta che qualcuno lo vedeva ubriaco in pubblico, e per le ventiquattr'ore successive aveva fatto perdere ogni traccia di sé.

Warren era fuori discussione, anche se Morgan sapeva che sarebbe stato pronto ad andare. In certe occasioni, l'abilità personale e il coraggio allo stato puro non erano sufficienti; nessun uomo poteva combattere le paure che gli erano state imposte sin dalla nascita, o durante la prima infanzia.

Per fortuna non era necessario spiegarlo all'ufficiale addetto alla sicurezza. Esisteva un motivo più semplice, e altrettanto valido, per cui Warren non poteva andare. In vita sua, solo poche volte Morgan si era sentito felice di essere piccolo; e quella era una delle rare volte.

— Peso quindici chili in meno di Warren — disse Bartok. — In un'operazione su margini ristrettissimi come questa, la cosa dovrebbe essere decisiva. Per cui non perdiamo altro tempo a discutere.

Sentì un lieve rimorso, perché sapeva che la cosa era ingiusta. Bartok stava solo facendo il suo dovere, con estrema capacità, e mancava ancora un'ora prima che il Ragno fosse pronto. Nessuno stava perdendo tempo.

Per alcuni secondi i due uomini si fissarono negli occhi, come se i venticinquemila chilometri che li separavano non esistessero. Se si arrivava a una prova di forza in piena regola, la situazione sarebbe precipitata. Bartok aveva il comando di tutte le operazioni relative alla sicurezza, e in teoria poteva imporsi anche al capo ingegnere e direttore del progetto. Ma forse gli sarebbe stato difficile esercitare la propria autorità: sia Morgan che il Ragno si trovavano ben lontani da lui, su Sri Kanda, e questo dava all'ingegnere un vantaggio decisivo.

Bartok si strinse nelle spalle.

— Non avete tutti i torti. Non mi sento troppo felice, ma vi lascio mano libera. Buona fortuna.

— Grazie — rispose tranquillamente Morgan, e l'immagine dell'altro svanì dallo schermo. Poi l'ingegnere si girò verso Kingsley, ancora silenzioso, e disse: — Andiamo.

Solo quando furono usciti dalla sala operativa, mentre risalivano verso la cima, Morgan toccò automaticamente il minuscolo ciondolo nascosto sotto la sua camicia. CORA non gli aveva dato fastidio per mesi, e nemmeno Warren Kingsley sapeva della sua esistenza. Stava giocando con altre vite, oltre che con la propria, solo per obbedire all'orgoglio personale? Se lo avesse saputo Bartok…

Ormai era troppo tardi. A prescindere dai motivi che lo spingevano, era in ballo.

46

Il Ragno

Com'era cambiata la Montagna, pensò Morgan, dalla prima volta che l'aveva vista! La sommità era stata completamente tagliata via, per lasciare posto a un altipiano perfettamente piatto; nel centro si trovava il gigantesco "coperchio" che sigillava la colonna che presto avrebbe ospitato il traffico di molti mondi. Era strano pensare che il maggiore spazioporto del sistema solare si trovasse sepolto nel cuore d'una montagna…

Nessuno avrebbe mai immaginato che un tempo lì sorgeva un antico monastero, su cui si erano concentrate le speranze e i timori di miliardi di persone per almeno tremila anni. L'unica traccia che ne restava era l'ambiguo lascito del Maha Thero, già imballato e in attesa di essere spedito. Ma, fino a quel momento, né le autorità preposte a Yakkagala né il direttore del museo di Ranapur avevano dimostrato troppo entusiasmo nei confronti della campana maledetta di Kalidas. L'ultima volta che aveva suonato, la cima della montagna era stata investita da quella tempesta innocua ma piena di significati; una vera ventata di novità. Adesso l'aria era quasi immobile. Morgan e i suoi assistenti camminavano lentamente verso la capsula immobile chiara sotto le luci di controllo. Qualcuno aveva dipinto, sulla parte inferiore dell'abitacolo, la scritta RAGNO II; e ancora più sotto era tracciata la promessa: VI PORTIAMO LA SALVEZZA. "Speriamo" pensò Morgan…

Ogni volta che veniva lì gli risultava sempre più difficile respirare, e attendeva con ansia il flusso d'ossigeno che presto si sarebbe riversato nei suoi polmoni affaticati. Ma CORA, per suo sollievo e sorpresa, non si era mai fatta sentire quando lui si recava alla cima. La cura prescritta dal dottor Sen sembrava funzionare alla perfezione.