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Ma la tecnologia che aveva eliminato certe necessità ne aveva create altre, ancor più imperiose. Fra tutte, la più importante era forse la programmazione del Sommario degli Interessi Personali.

Molti aggiornavano il proprio SIP a Capodanno, o quando compivano gli anni. L'elenco di Morgan conteneva cinquanta voci; aveva sentito parlare di gente che ne aveva centinaia. Probabilmente passavano tutte le ore della giornata a lottare col fiume d'informazioni, a meno che non si trattasse solo di burloni che si divertivano a programmare il segnale d'allarme per impossibilità classiche del tipo:

"Uova, dinosauro, rinvenimento di"

"Cerchio, quadratura del"

"Atlantide, emersione di"

"Cristo, secondo avvento di"

"Mostro di Loch Ness, cattura del"

E per chiudere in bellezza:

"Mondo, fine del".

In genere, com'è ovvio, egocentrismo e interessi professionali facevano sì che il nome dell'utente fosse il primo di ogni elenco. Morgan non faceva eccezione, ma le voci successive erano piuttosto insolite:

"Torre, orbitale"

"Torre, spaziale"

"Torre, (geo) sincrona"

"Elevatore, spaziale"

"Elevatore, orbitale"

"Elevatore, (ego) sincrono".

Quelle definizioni comprendevano quasi tutte le varianti usate dai mass-media, e gli permettevano di controllare almeno il novanta per cento delle notizie relative al suo progetto. In gran parte si trattava di sciocchezze, e a volte si chiedeva se valeva la pena di controllarle: le notizie davvero importanti gli sarebbero arrivate in fretta.

Morgan si stava ancora sfregando gli occhi, e il letto era appena scomparso nella parete del suo modesto appartamento, quando l'ingegnere notò che sul terminale occhieggiava il segnale d'allarme. Schiacciò simultaneamente i pulsanti del caffè e della lettura, ansioso di conoscere gli ultimi sviluppi della situazione.

LA TORRE ORBITALE È STATA ABBATTUTA, diceva il titolo.

— Devo proseguire? — chiese il terminale.

— Ci puoi scommettere — rispose Morgan, improvvisamente sveglio.

Nei secondi successivi, mentre leggeva il testo dell'articolo, il suo stato d'animo passò dall'incredulità all'indignazione, per finire alla preoccupazione. Trasmise il tutto a Warren Kingsley, aggiungendo: — Per favore chiamami appena puoi — e si dedicò alla colazione, ancora indignato.

Meno di cinque minuti dopo, Kingsley apparve sullo schermo.

— Andiamo, Van — disse con ironica rassegnazione — dovremmo considerarci fortunati. Ci ha messo cinque anni per arrivare fino a noi.

— È la cosa più ridicola che io abbia mai sentito! Dobbiamo ignorarlo? Se gli rispondiamo gli facciamo pubblicità, e quello non vuole altro.

Kingsley annuì. — È la miglior linea d'azione, almeno per ora. Non dobbiamo reagire come matti. Del resto può darsi che non abbia tutti i torti.

— Cosa vuoi dire?

Kingsley era diventato improvvisamente serio. Sembrava persino un po' a disagio.

— Esistono problemi psicologici, oltre a quelli tecnici — disse. — Pensaci. Ci vediamo in ufficio.

L'immagine scomparve dallo schermo, lasciando Morgan leggermente sconvolto. Era abituato alle critiche, sapeva come trattarle; anzi, si divertiva un mondo a giocare a botta e risposta su argomenti tecnici coi suoi avversari, ed era difficile che si lasciasse sconvolgere le rare volte in cui perdeva. Ma non era facile sistemare Paperino.

Ovviamente non si chiamava così; però l'atteggiamento indignato e critico del dottor Donald Bickerstaff, del tutto peculiare, faceva pensare spesso a quel personaggio della mitologia del ventesimo secolo. Si era laureato (a pieni voti, ma senza lode) in matematica pura; le sue armi erano un aspetto affascinante, una voce melliflua, e una fede incrollabile nella propria capacità di poter parlare di qualsiasi argomento scientifico. Nel suo campo, a dire il vero, era in gamba. Morgan ricordava con piacere una sua conferenza di vecchio stampo cui aveva assistito anni prima alla Royal Institution. In seguito, per una settimana circa era quasi riuscito a capire le singolari proprietà dei numeri transfiniti…

Sfortunatamente, Bickerstaff non conosceva i propri limiti. Possedeva una devota cerchia di sostenitori che seguivano i suoi programmi d'informazione (un tempo lo avrebbero definito "scienziato pop"), ma possedeva una schiera anche più ampia di nemici. I più gentili ritenevano che il suo cervello fosse stato educato oltre i limiti della sua intelligenza. Gli altri lo definivano un libero professionista dell'idiozia. Era un vero peccato, pensava Morgan, che non fosse possibile chiudere Bickerstaff in una stanza col dottor Goldberg-Parakarma: si sarebbero annullati a vicenda, come elettrone e positrone. Il genio dell'uno avrebbe distrutto la fondamentale stupidità dell'altro. Quella stupidità incrollabile contro cui, come lamentava Goethe, persino gli dèi lottavano invano. E siccome al momento c'erano pochi dèi disponibili, Morgan sapeva di dover affrontare da solo l'impresa. Conosceva un'infinità di modi migliori per occupare il tempo; però la cosa poteva offrirgli un comico sollievo, e c'era un precedente suggestivo.

Poche cose ornavano le pareti della stanza d'hotel che da circa un decennio costituiva una delle quattro case "temporanee" di Morgan. Fra queste cose spiccava una foto talmente ben truccata che alcuni ospiti non riuscivano a credere che si trattasse d'un montaggio. La foto era dominata da un piroscafo a vapore grazioso, amorevolmente restaurato: l'antenato di ogni vascello che potesse legittimamente essere definito moderno. A fianco dell'imbarcazione, sul molo a cui il piroscafo era stato miracolosamente restituito centoventicinque anni dopo il varo, si trovava il dottor Vannevar Morgan. Fissava le volute ornamentali della prua dipinta; e a pochi metri di distanza, a lanciargli un'occhiata interrogativa, c'era Isambard Kingdom Brunel, le mani infilate in tasca e il sigaro in bocca.

Tutti gli elementi della foto erano reali. Morgan aveva davvero posato a fianco della "Great Eastern", in un giorno d'estate a Bristol, l'anno dopo la realizzazione del Ponte di Gibilterra. Ma Brunel si trovava sempre nel 1857, ancora in attesa del varo del suo successivo, celeberrimo leviatano, le cui traversie lo avrebbero stroncato nel corpo e nello spirito.

La foto era stata regalata a Morgan per il suo cinquantesimo compleanno, ed era una delle cose che lui amava di più. I suoi colleghi l'avevano intesa come uno scherzo simpatico, dato che l'ammirazione di Morgan per il grande ingegnere del diciannovesimo secolo era nota a tutti. A volte, però, lui si chiedeva se l'idea dei suoi amici non fosse più esatta di quanto loro non pensassero. Il "Great Eastern" aveva divorato il suo creatore. La Torre poteva riservargli lo stesso destino.

Brunel, ovviamente, era circondato di Paperini. Il più insistente era un certo dottor Dionysius Lardner, che aveva dimostrato, al di là d'ogni dubbio, che nessun piroscafo a vapore era in grado di solcare l'Atlantico. Un tecnico poteva respingere le critiche basate su errori concreti o semplicemente su calcoli errati. Ma il punto sollevato da Paperino era più sottile, e la risposta non appariva facile. Morgan ricordò d'improvviso che quell'eroe aveva dovuto affrontare una crisi molto simile alla sua, tre secoli prima.

Tese la mano verso la sua collezione di libri veri, piccola ma senza prezzo, e prese quello che aveva letto, forse, più spesso di tutti: la classica biografia di Rolt "Isambard Kingdom Brunel". Sfogliando in fretta le pagine sporche di ditate, trovò subito il brano che aveva sollecitato la sua memoria.

Brunel aveva progettato un tunnel ferroviario lungo quasi tre chilometri, un'idea "mostruosa e paurosa, pericolosissima e impraticabile". Era inconcepibile, dissero i suoi detrattori, che esseri umani potessero sopportare l'orrore di viaggiare in quell'abisso stigio. "Nessuna persona può desiderare di essere tagliata fuori dalla luce del sole sapendo che sopra di sé c'è una quantità di terreno sufficiente a seppellirla in caso d'incidente… Il rumore di due treni che s'incrociano spezzerebbe i nervi… Nessun passeggero rifarebbe il viaggio una seconda volta…"