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— Non sarà necessario. I nostri ingegneri hanno letto tutte le vostre relazioni. Quello che propongo è un esperimento su piccola scala per risolvere molti dei problemi tecnici e dimostrare che il principio è esatto…

— Su questo non c'è dubbio.

— Ne convengo, ma è sorprendente quanta differenza potrebbe fare una piccola dimostrazione pratica. Questo è quello che vi proponiamo. Progettate il sistema più piccolo possibile: semplicemente un filo con un carico di pochi chilogrammi. Tendetelo dall'orbita sincrona alla Terra, sì, la Terra. Se funziona qui, su Marte sarà ancora più facile. Poi fate salire qualcosa, solo per dimostrare che i razzi sono obsoleti. L'esperimento costerà relativamente poco, ci fornirà informazioni essenziali e una prima pratica, e, dal nostro punto di vista, risparmierà anni di discussione. Potremo presentarci al Governo Terrestre, al Fondo Solare, alle altre banche interplanetarie, e far presente la dimostrazione.

— Avete proprio pensato a tutto. Tra quanto vorreste la mia risposta?

— Ad essere sincero, fra cinque secondi circa. Ma, ovviamente, la questione non ha niente d'urgente. Metteteci il tempo che vi sembra ragionevole.

— Benissimo. Datemi i vostri studi grafici, l'analisi dei costi, e tutto l'altro materiale che avete. Dopo averli esaminati, vi farò sapere la mia risposta in… oh, una settimana al massimo.

— Grazie. Questo è il mio numero. Mi trovate sempre.

Morgan infilò il biglietto da visita del banchiere nell'ingresso di memoria del suo comunicatore e controllò che si accendesse la scritta REGISTRATO. Prima di restituire il biglietto aveva già deciso.

A meno che l'analisi marziana non contenesse qualche errore decisivo (ma avrebbe scommesso una fortuna che era perfetta), il suo periodo di riposo era terminato. Aveva notato spesso, con un certo divertimento, che mentre di solito impiegava molto a prendere decisioni relativamente secondarie, non aveva mai esitato un attimo nei punti di svolta più cruciali della sua carriera. Aveva sempre saputo cosa fare, e s'era sbagliato di rado.

Eppure, a quel livello, era meglio non investire troppo capitale intellettuale o emotivo in un progetto che poteva finire in niente. Dopo che il banchiere fu ripartito per la prima parte del viaggio di rientro a Porto Tranquillità, via Oslo e Gagarin, Morgan trovò impossibile dedicarsi a qualcuna delle attività che aveva programmato per il lungo inverno nordico: il suo cervello era in subbuglio, esaminava l'intero spettro di futuri improvvisamente diversi.

Dopo qualche minuto di passeggiare irrequieto, sedette alla scrivania e cominciò ad annotare gli impegni in ordine contrario alla loro importanza, partendo dalle cose che poteva rimandare con maggior facilità. Poco dopo, tuttavia, trovò impossibile concentrarsi su questioni talmente ordinarie. Dentro, nel profondo della sua mente, qualcosa cercava di parlargli, di attrarre la sua attenzione. Quando cercò di concentrarsi, quel qualcosa si eclissò subito, come una parola familiare ma momentaneamente dimenticata.

Con un sospiro di frustrazione Morgan si alzò dalla scrivania e s'incamminò sulla veranda che correva lungo la facciata ovest dell'hotel. Faceva freddissimo, ma l'aria era calma, e la temperatura sotto zero era più uno stimolo che un inconveniente. Il cielo era uno splendore di stelle e la luna gialla, crescente, si tendeva verso il proprio riflesso nel fiordo. La superficie delle acque era così scura e immobile da sembrare una lastra di ebano tirata a lucido.

Trent'anni prima si trovava quasi in quello stesso punto, con una ragazza di cui non riusciva più a ricordare chiaramente l'aspetto. Tutti e due celebravano la loro prima laurea, e quello era tutto quanto avevano in comune. Non si trattava di una storia seria: erano giovani, stavano bene assieme, e tanto bastava. Eppure, chissà come, quel ricordo sbiadito lo aveva riportato al fiordo Trollshavn in quel momento cruciale della sua vita. Cosa avrebbe pensato quel giovane studente di ventidue anni se avesse saputo che, tre decenni dopo, i passi lo avrebbero ricondotto in quel luogo di antichi piaceri?

Nel ricordo di Morgan non c'era traccia di nostalgia o di autocommiserazione; solo una specie di divertimento pensieroso. Nemmeno per un istante aveva rimpianto il fatto che lui e Ingrid si fossero separati da buoni amici, senza neanche prendere in considerazione il solito contratto annuale. Lei era riuscita a rendere moderatamente infelici altri tre uomini prima di trovarsi un lavoro nella Commissione Lunare, e Morgan l'aveva persa di vista. Forse lei era lassù anche in quel momento, su quella luna crescente dal colore tanto simile a quello dei suoi capelli.

Ma basta col passato. Morgan rivolse i pensieri al futuro. Dov'era Marte? Si vergognava d'ammettere che non sapeva nemmeno se quella notte fosse visibile. Lasciò scorrere gli occhi lungo il percorso dell'eclittica, dalla Luna allo scintillio accecante di Venere, e oltre; ma in quella profusione di gioielli non vide niente che potesse identificare esattamente col pianeta rosso. Era eccitante pensare che in un futuro non troppo lontano, lui (che non si era mai spinto oltre l'orbita lunare!) avrebbe visto quei paesaggi scarlatti coi propri occhi, osservato le piccole lune che passavano in fretta di fase in fase.

In quel momento il sogno crollò. Morgan restò un attimo paralizzato, poi si precipitò dentro l'hotel, dimentico dello splendore notturno.

Nella sua stanza non c'era un terminale per usi generici, per cui dovette scendere nell'atrio per ottenere l'informazione che desiderava. La sorte fece sì che la cabina fosse occupata da un'anziana signora, la quale impiegò tanto tempo a scoprire quello che voleva sapere che Morgan quasi bussò alla porta. Ma finalmente quella buona a niente se ne andò mormorando scusa, e Morgan si trovò a tu per tu con tutta l'arte e la scienza dell'umanità.

Ai tempi in cui studiava, aveva vinto diversi campionati di velocità: combatteva contro l'orologio cercando di ottenere oscure informazioni su liste preparate da giudici ingeniosi e sadici ("Qual è stato il tasso di piovosità nella capitale dello stato nazionale più piccolo del mondo il giorno che il campionato di baseball del college ha registrato un numero di basi inferiore di due unità al record?" era una delle domanche che ricordava con affetto particolare). Col tempo la sua abilità era migliorata, e poi quella era una domanda semplice. La risposta giunse dopo trenta secondi, fornendogli molti più dettagli di quanti non gli occorressero.

Morgan scrutò lo schermo per un minuto, poi scosse la testa, decisamente sorpreso.

— Non possono non averci pensato! — mormorò. — Ma cosa potrebbero farci?

Morgan schiacciò il pulsante per ottenere lo stampato e risalì in camera col foglio di carta, per studiarlo meglio. Il problema era così straordinariamente, incredibilmente ovvio da indurlo a chiedersi se non gli fosse sfuggita una soluzione altrettanto ovvia, e se non avrebbe fatto la figura dell'imbecille sollevando l'argomento. Eppure non esistevano scappatoie…

Guardò l'orologio: mezzanotte passata. Ma era una questione che doveva sistemare subito.

Con sollievo di Morgan, il banchiere non aveva premuto il pulsante NON DISTURBARE. Gli rispose immediatamente, un po' sorpreso.

— Spero di non avervi svegliato — disse Morgan, senza troppa sincerità.

— No. Stiamo per atterrare a Gagarin. Qual è il problema?

— Circa dieci teratonnellate che viaggiano a due chilometri al secondo. La luna interna, Phobos. È un bulldozer cosmico che passerà accanto all'elevatore ogni undici ore. Non ho ancora calcolato le probabilità esatte, ma è inevitabile una collisione ogni pochi giorni.

Dall'altra parte del circuito ci fu silenzio per un lungo momento. Poi il banchiere disse: — Potevo pensarci persino io. Per cui, ovviamente, qualcuno avrà la risposta. Forse dovremo spostare Phobos.