Il mostruoso schianto prodotto dal superamento del muro del suono squarciò l'aria. Alec non l'aveva mai sentito prima, ma sorrise nonostante lo choc e il dolore. — Ce l'hanno fatta! Sono partiti!
— Bene — commentò Russo soddisfatto.
Kobol sta tornando alla stazione spaziale. Fra pochi giorni sarà sulla Luna, da mia madre…
Russo gli posò la mano sulla spalla. — Ascolta! — sussurrò.
Era il rumore attutito degli spari di un mortaio.
— Ordina di fermarsi!
L'autoblindo si fermò. Il rumore si ripeté. Proveniva da destra, il sentiero invece curvava nella direzione opposta.
— Dobbiamo scendere — sussurrò Russo, controllando il funzionamento del fucile.
Alec si chinò per ordinare al conducente: — Sta' lì e non uscire. Se qualcuno ti dà fastidio, usa il laser col telecomando.
Alec impugnò il mitra. Era brutto, con la canna tozza, un lungo caricatore nell'impugnatura e un sostegno metallico che si poteva appoggiare alla spalla o al fianco. Russo era già saltato a terra e scrutava fra i cespugli. Alec lo raggiunse.
— Hai tolto la sicura? — chiese Will.
Alec guardò e vide che si era scordato di farlo. Arrossendo, la spinse indietro col pollice.
Si avviarono in mezzo al sottobosco, tenendosi chini. La fitta vegetazione graffiava faccia, braccia e gambe di Alec. Il sole che filtrava tra il fogliame gli bruciava il collo. C'erano ovunque insetti, e nel giro di pochi minuti Alec si sentì assalire e pungere come mai gli era capitato prima. Russo invece non ci faceva caso, e così Alec cercò di resistere alla voglia di grattarsi e scacciare gli insetti.
Il fuoco del mortaio in azione era diventato più forte e frequente.
— Hanno una grande quantità di munizioni — mormorò Russo che lo precedeva, senza voltarsi. — Consumano tutte quelle che hanno prodotte durante l'inverno nella speranza di impadronirsi delle vostre armi.
— Spero che non abbiano colpito nessuna autoblindo — rispose Alec.
— Impossibile — disse Russo. — Sono proprio le autoblindo il loro obbiettivo. Se una banda riesce ad accaparrarsene un paio diventerà padrona della zona finché dureranno il laser e il carburante. Quei mezzi sono come un regalo di Natale, per loro.
Alec annuì. Non ci aveva pensato.
— Ma vogliono anche le altre armi, naturalmente. Tutti muoiono dalla voglia di avere delle belle armi nuove.
Barbari, pensò Alec. Non sono altro che barbari.
Si sdraiarono bocconi e procedettero strisciando sotto i grovigli di rampicanti. — Alt! — ordinò a un tratto Russo.
Alec rimase immobile come una statua. Sentiva il battito del proprio cuore, sentiva il fradiciume del terreno e del sudore che gli inzuppava tutto il corpo. Gocce gli colavano dalla fronte sugli occhi.
Russo gli scivolò accanto per mormorare: — Su quel grosso albero in cima alla salita.
Alec sollevò la testa. Un uomo stava accucciato su uno dei rami più bassi di un imponente albero che si rizzava sulla cresta, protendendo verso il cielo i rami carichi di foglie primaverili. L'uomo teneva un binocolo accostato agli occhi.
— È una vedetta — mormorò Russo. — I mortai devono trovarsi a distanza di voce da lui.
— Colpiamolo!
Russo gli posò la mano sulla spalla. — Se lo colpiamo prima di sapere esattamente dove si trovano i mortai, non facciamo altro che mettere sul chi vive i serventi dei pezzi. Vieni, seguimi.
Lentamente, in silenzio, strisciando come serpenti con Russo alla testa, cominciarono a compiere un ampio cerchio. Dopo un poco Alec capì il motivo di quella manovra. Stavano portandosi alle spalle della vedetta e dei mortai.
L'accerchiamento durò circa un quarto d'ora. Infine Russo si sollevò cauto sulle ginocchia, e dopo essersi guardato intorno si alzò in piedi. Adesso si trovavano sul versante opposto della collina, in mezzo ai cespugli che arrivavano al petto. Il grosso albero su cui stava la vedetta era appena visibile. Solo la cima spuntava oltre la cresta.
— Sei sicuro che sia lo stesso albero? — chiese Alec. — A me sembrano tutti uguali.
— Non per chi ha vissuto qui a lungo — rispose Russo.
— Capisco. E adesso?
— Adesso prendiamo un po' di respiro poi corriamo a tutta velocità verso l'albero. Appena avvisteremo la vedetta la faremo fuori, e quando avremo scorto i serventi dei mortai spareremo anche a loro.
— Sei sicuro che siano là?
— Sì — rispose Will. — Anche se da qualche minuto hanno smesso di sparare. Può darsi che si apprestino ad andarsene.
Alec controllò ancora una volta il mitra.
— Pronto? — chiese Russo.
— Sì.
— Bene. — Aspirò una profonda boccata d'aria. — Via!
Corsero attraverso i cespugli fino alla cresta. Appena l'ebbero raggiunta, Alec vide Russo, che lo precedeva di poco, portarsi il fucile alla spalla e sparare. Qualcosa cadde dall'albero, ma così in fretta che Alec ne ebbe appena una visione confusa. Inoltre aveva raggiunto nel frattempo anche lui la cresta e aveva scorto otto uomini, intenti a smontare i mortai, che si erano interrotti, voltandosi sorpresi.
Affusti, canne e proiettili erano sparsi intorno a loro sul terreno. Per un attimo rimasero tutti immobili, poi si precipitarono verso le loro armi. Alec si ritrovò a sparare senza quasi accorgersene. Il mitra crepitava e sobbalzava fra le sue mani. Zolle di terreno si frantumarono sotto gli occhi degli uomini colti di sorpresa. Quattro caddero subito all'indietro agitando le braccia. Altri due barcollarono, si chinarono nel tentativo di afferrare le armi, e vi caddero sopra. Due si precipitarono nel folto, allontandosi.
Alec si accorse solo allora che aveva sparato tenendo il mitra appoggiato al fianco cospargendo il terreno di bossoli. Si drizzò, e portò l'arma alla spalla cercando di mirare contro i due fuggitivi.
Russo gli batté la mano sulla spalla. — Basta così. Lasciali andare.
— Ma loro…
— Buon Dio, giovanotto, cosa vuoi? Ne abbiamo ammazzati sette e catturato i mortai e le armi portatili. Cosa vuoi di più?
Russo sembrava irritato. Non arrabbiato, ma irritato come un padre con un bambino cattivo.
Alec abbassò il mitra. — Come fai a sapere che sono morti?
Guardando i corpi sparpagliati sotto di loro, Russo rispose: — Se non lo sono ancora lo saranno presto.
Si avviarono lentamente lungo il pendio. La vedetta giaceva immobile sotto l'albero col corpo macchiato di sangue, le gambe rattrappite e la faccia contorta. Alec si voltò per guardare i sei uomini sorpresi mentre smontavano i mortai, e gli si rivoltò lo stomaco. Erano ridotti a pezzi. Enormi squarci smembravano i corpi caduti in posizioni grottesche. Uno, al posto della faccia, aveva un ammasso sanguinolento rosso e grigio. Sciami di insetti ronzavano già sui cadaveri.
Uno si lamentava. Alec si allontanò barcollando. Gli si era offuscata la vista ma sentiva ancora: — Per favore… per favore…
— Mi dispiace, figliolo, non posso fare niente per te.
Uno sparo.
Alec si appoggiò a un albero e vomitò.
Dopo pochi istanti che a lui parvero ore, Russo gli si avvicinò. — È la prima volta che vedi dei morti ammazzati. — Era una constatazione, non una domanda.
— La prima volta — mormorò Alec. — Sono stato io il responsabile…
— Okay… Porta le loro armi sull'autoblindo. Prenditela calma. Dovrai fare una dozzina di viaggi. Io intanto li seppellirò.
— Cosa?
Alzando le spalle, Russo rispose quasi con ritrosia: — Un giorno o l'altro qualcuno mi ammazzerà e non mi piacerebbe che mi lasciassero lì dove sono morto a fare da pasto agli uccelli.
— Ma sei stato tu a ucciderli. Cioè, noi…
— Sì. E adesso bisogna seppellirli. — Tacque e dopo una breve pausa spiegò: — Tu uccidi i nemici quando loro sono in grado di uccidere te. Se sono disarmati e scappano li lasci perdere. Se sono morti, li seppellisci. E non prendi prigionieri a meno di non avere un valido motivo per farlo.