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— Ma non ci vogliono mille uomini per aprire una porta, mio signore.

— Forse ci vorrebbero, per tenerla aperta.

— L'Ecumene aspetterà fino a quando voi non l'avrete aperta, mio signore. Non vi costringerà a fare nulla. Sono stato mandato solo, e rimarrò qui solo, perché vi sia impossibile aver paura di me.

— Paura di voi? — disse il re, girando il suo volto solcato dall'ombra e dalle fiamme, sogghignando, parlando con voce forte e stridula. — Ma io ho paura di voi, Inviato. Io ho paura di coloro che vi hanno mandato. Io ho paura dei bugiardi, e ho paura degli ingannatori e dei giocolieri, e più di tutto ho paura dell'amara verità. E così io governo bene il mio paese. Perché solo la paura governa gli uomini. Null'altro funziona. Null'altro dura abbastanza a lungo. Voi siete quel che dite di essere, eppure voi siete una beffa, un inganno. Non c'è niente là tra le stelle, solo il vuoto e il terrore e l'oscurità e le tenebre, e voi venite fuori da tutto quello, da solo, tentando di spaventarmi. Ma io sono già spaventato, io ho già paura, e io sono il re. Il terrore è re! La paura è re! Ora prendete le vostre trappole e i vostri trucchi e andate, non c'è altro che si debba dire. Io ho ordinato che vi fosse data la libertà di Karhide.

Così me ne partii dal cospetto reale… eck, eck, eck, per tutto il rosso, lungo pavimento, nel rosso crepuscolo sanguigno della sala rossa, fino a quando, finalmente, le doppie porte non si chiusero separandomi da lui.

Avevo fallito. Fallito in tutto. Ciò che mi angustiava, mentre me ne partivo dalla Casa del Re e camminavo per il terreno del Palazzo, però, non era il mio fallimento, ma la parte di Estraven in esso. Perché il re lo aveva esiliato per avere sposato la causa dell'Ecumene (questo pareva il significato del proclama) se (secondo lo stesso re) egli aveva fatto l'opposto? Quando aveva cominciato a consigliare il re di evitarmi, e perché? Perché lui era stato esiliato, e io ero stato mandato via libero? Quale tra loro aveva mentito di più, e perché diavolo stavano mentendo?

Stavo passando accanto alla Dimora Rossa dell'Angolo. I cancelli del giardino erano aperti. Guardai il giardino e gli alberi che si protendevano bianchi sulla piscina nera, i sentieri di mattoni rossi giacevano abbandonati nella grigia luce serena del pomeriggio. Un po' di neve era ancora rimasta all'ombra dei grandi sassi, accanto alla piscina. Pensai a Estraven, che mi aveva aspettato là quando la neve stava ancora cadendo, la sera prima, e provai un impulso di pura pietà per l'uomo che avevo visto nella parata di ieri, sudato e superbo sotto il peso della sua splendida veste e del suo potere, un uomo all'apice orgoglioso della propria carriera, potente e magnifico… e ora andato, caduto, finito. In fuga verso la frontiera con la morte tre giorni dietro di lui, senza che nessun uomo gli parlasse. La condanna a morte è rara in Karhide. La vita su Inverno è dura da vivere, e il popolo di questo mondo lascia generalmente la morte alla natura o alla collera, non alla legge. Mi domandai come Estraven, con quella condanna che lo spingeva, sarebbe fuggito. Non su di un'auto perché qui erano tutte proprietà di Palazzo; una nave o una corriera gli avrebbero forse dato un passaggio? Oppure lui era a piedi per la strada, portando quel che aveva potuto portare con sé? I karhidiani vanno soprattutto a piedi; non hanno animali da soma, non possiedono veicoli volanti, le intemperie e il clima in generale rallentano e in parte impediscono il traffico a motore per la maggior parte dell'anno, e in generale si tratta di un popolo che non conosce la fretta. Immaginai perciò quell'uomo orgoglioso andarsene in esilio un passo dopo l'altro, una piccola figura che camminava faticosamente sulla lunga strada di occidente che portava al Golfo. Tutto questo attraversò la mia mente, e ne uscì, mentre io passavo davanti al cancello della Dimora Rossa dell'Angolo, e con ciò se ne andarono le mie confuse speculazioni riguardanti gli atti e i motivi di Estraven e del re. Con loro avevo finito. Avevo fallito. E ora, cosa avrei dovuto fare?

Avrei potuto andare in Orgoreyn, che di Karhide era il vicino e rivale. Ma una volta che fossi andato là, avrei potuto trovare difficile il ritorno a Karhide, e qui avevo molti affari incompiuti. Dovevo tenere bene in mente il fatto che la mia intera vita avrebbe potuto essere, e questo era assai probabile, usata nel compimento della mia missione per l'Ecumene. Non c'era fretta. Non c'era più bisogno di correre in Orgoreyn, prima di avere appreso di più su Karhide, in particolare intorno alle Fortezze. Per due anni avevo risposto alle domande, ora sarei stato io a pome qualcuna. Ma non a Erhenrang. Finalmente avevo compreso che Estraven mi aveva messo in guardia, e benché avessi potuto diffidare del suo avviso, non avrei certo potuto trascurarlo. Lui mi aveva detto, sia pure indirettamente, che avrei fatto meglio ad allontanarmi dalla città e dalla corte. Per qualche motivo, pensai ai denti di Lord Tibe… Il re mi aveva dato la libertà del paese; me ne sarei servito. Come si dice nella Scuola Ecumenica, quando l'azione non è più vantaggiosa, raccogli delle informazioni; e quando le informazioni non sono più vantaggiose, dormi. Io non avevo ancora sonno. Sarei andato a oriente, alle Fortezze, e avrei forse raccolto delle informazioni dai Profeti.

CAPITOLO QUARTO

Il diciannovesimo giorno

Una storia Est Karhidi, come è narrata nel Focolare di Gorinhering da Tobord Chorhava, e registrata da G. A., 93/1492.

Lord Berosty rem ir Ipe venne alla Fortezza di Thangering e offri quaranta berilli a metà del raccolto di un anno dei suoi frutteti come prezzo di una Profezia, e il prezzo era accettabile. Fece la sua domanda al Tessitore Odren, e la domanda fu: In quale giorno morirò?

I Profeti si riunirono e andarono insieme nelle tenebre. Alla fine delle tenebre Odren pronunciò la risposta: Tu morrai in Odstreth (il diciannovesimo giorno di qualsiasi mese).

— In quale mese? tra quanti anni? — gridò Berosty, ma il patto era rotto, il vincolo spezzato, e non ci fu risposta. Egli corse nel circolo e prese il Tessitore Odren per la gola soffocandolo e urlò che se non avesse ricevuto altra risposta avrebbe spezzato il collo del Tessitore. Altri lo afferrarono e lo staccarono dal Tessitore e lo tennero ben stretto, benché egli fosse un uomo forte. Si dibatté tra le loro mani e gridò — Voglio la risposta!

Odren disse:

— La risposta è data, e il prezzo pagato. Va'.

Furibondo, allora, Berosty rem ir Ipe ritornò a Charuthe, il terzo Dominio della sua famiglia, un luogo povero nel nord dell'Osnoriner, che egli aveva reso più povero per raccogliere il prezzo di una Profezia. Egli si chiuse nella roccaforte, nelle sale più alte della Torre del Focolare, e non volle uscirne né per amico né per nemico, né per semina né per raccolto né per kemmer né per assalto, per tutto quel mese e per il mese dopo e per il mese dopo ancora, e sei mesi passarono e dieci mesi passarono, e lui rimase sempre come un prigioniero nella sua stanza, aspettando. Di Onnetherhad e di Odstreth (il diciottesimo e il diciannovesimo giorno del mese) non mangiava alcun cibo, né beveva, e neppure dormiva.

Il suo kemmeri, per voto e per amore, era Herbor del clan Geganner. Questo Herbor venne nel mese di Grende alla Fortezza di Thangering e disse al Tessitore:

— Io cerco una Profezia.

— Che cos'hai per pagare? — domandò Odren, perché aveva visto che l'uomo era poveramente vestito e con gli stivali consunti e rappezzati, e la sua slitta era vecchia, e tutto, in lui e intorno a lui, aveva bisogno di essere riparato.

— Darò la mia vita — disse Herbor.

— Non hai niente altro, mio signore? — gli domandò Odren, parlando ora come se si rivolgesse a un grande nobile, — niente altro da dare?