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— Ne discuterò con lei quando arriviamo. — (Capitano Ian, razza d’imbroglione, mi avevi detto che non ti sposerai mai perché hai «l’istinto del lupo solitario». Chissà se lo ricordi? Credo di no.)

— È deciso. Forse Janet non si fida dei miei giudizi sulle donne. Dice che ho solo pregiudizi e istinti da porcellino. Però si fida di Betty e a quest’ora Betty le avrà telefonato. Conosceva Betty già prima di conoscere me; erano compagne di stanza alla McGill. È lì che io ho trovato Janet e Fred ha trovato la mia sorellina. Eravamo quattro sovversivi. Di tanto in tanto sganciavamo il mappamondo e appendevamo il polo nord all’ingiù.

— Betty è un tesoro. Janet è come lei?

— Sì e no. Janet era il capo delle nostre attività rivoluzionarie. Chiedo scusa, devo fare finta di essere un capitano. In realtà è il computer che guida questa bara di latta, ma la settimana prossima voglio imparare anch’io a farlo. — Se ne andò.

Dopo la catarsi ristoratrice di una notte di ebbre follie con Ian e Freddy e Betty riuscivo a pensare in modo più razionale alla mia ex famiglia. Mi avevano davvero ingannata?

Avevo firmato quello stupido contratto di mia volontà, compresa la clausola che mi aveva fregato. Avevo pagato per il sesso?

No. Quello che avevo detto a Ian è vero: il sesso si trova dappertutto. Avevo pagato per il felice privilegio di appartenere. A una famiglia; specialmente per la delizia domestica di cambiare pannolini bagnati e lavare piatti e carezzare cuccioli. Per me il Signor Sottoipiedi era molto più importante di quanto lo fosse mai stata Anita, anche se non mi ero mai permessa di pensarlo. Avevo cercato di amarli tutti finché la storia di Ellen non aveva rischiarato gli angoli sporchi.

Vediamo. Sapevo esattamente quanti giorni ero riuscita a trascorrere con la mia ex famiglia. Un pizzico di aritmetica mi disse che dal momento che mi avevano confiscato tutto, la tariffa giornaliera di quelle dolci vacanze a pensione completa era stata più di quattrocentocinquanta dollari ennezeta.

Una bella tariffa anche per un albergo di lusso. Ma la vera spesa sostenuta dalla famiglia per tenermi in casa era meno di un quarantesimo di quella cifra. Tutti gli altri, su quali basi economiche erano entrati a fare parte della famiglia? Non lo avevo mai saputo.

Era possibile che Anita, incapace di impedire agli uomini di invitarmi a unirmi al gruppo, avesse sistemato le cose in modo da non permettermi di lasciare il lavoro e vivere in casa, al tempo stesso legandomi alla famiglia con un accordo molto conveniente per la famiglia, cioè per Anita? E chi poteva dirlo?

Sapevo così poco dei matrimoni fra esseri umani che non ero mai stata in grado di giudicare, e ancora non lo ero.

Però una cosa l’avevo imparata: Brian mi aveva sorpreso mettendosi contro di me. Lo avevo giudicato il membro della famiglia più adulto, saggio, colto, l’unico che potesse accettare la realtà della mia origine biologica senza rifiutarla.

Forse lo avrebbe fatto se per la mia dimostrazione avessi scelto qualche altra capacità, qualche abilità che non lo minacciasse.

Ma lo aveva vinto in una prova di forza, un campo in cui il maschio nutre la ragionevole convinzione di primeggiare. Lo avevo colpito nel suo orgoglio virile.

A meno che non abbiate intenzione di ucciderlo subito dopo, non prendete mai un uomo a calci nelle palle. Nemmeno simbolicamente. O forse soprattutto simbolicamente.

9

La caduta libera finì ed entrammo nelle sensazioni incredibilmente eccitanti del volo planato ipersonico. Il computer se la stava cavando bene nello smorzare la violenza, ma si sentivano ancora le vibrazioni nei denti; e io le sentivo in altre parti, dopo quella notte movimentata.

Uscimmo dal transonico piuttosto bruscamente, poi restammo a lungo in subsonico, con l’urlo che continuava a crescere.

Poi atterrammo e si accesero i retrorazzi, e dopo un po’ ci fermammo. E io respirai a pieni polmoni. Per quanto mi piacciano gli Sb, fra l’atterraggio e la sosta non sono mai rilassata.

Eravamo partiti dall’Isola del Nord a mezzogiorno di giovedì, e così arrivammo quaranta minuti più tardi a Winnipeg il giorno prima (mercoledì), alle 19,40 di sera. (Non prendetevela con me; andate a guardarvi una carta geografica che riporti i fusi orari.)

Aspettai di nuovo, fui l’ultimo passeggero a scendere. Di nuovo il capitano prese la mia sacca, ma questa volta mi scortò con la confidenza di un vecchio amico; e io mi sentii enormemente intenerita.

Mi guidò a una porta laterale, poi superò con me Dogana, Sanità e Immigrazione, presentando per prima la sua borsa da viaggio.

L’impiegato della Dsi non la toccò. — Ciao capitano. Oggi cosa contrabbandi?

— La solita roba. Diamanti illegali. Segreti industriali. Progetti di armi. Droghe.

— Tutto qui? Gesso sprecato. — L’uomo scarabocchiò qualcosa sulla borsa di Ian. — Lei è con te?

— Mai vista in vita mia.

— Io squaw pellirossa — intervenni. — Capo bianco promesso molta acqua di fuoco. Capo bianco no mantiene promesse.

— Questo potevo dirvelo anch’io. Vi fermate molto?

— Vivo nell’Impero. Sono di passaggio. Potrei fermarmi per una notte. Sono transitata qui il mese scorso. Andavo in Nuova Zelanda. Il mio passaporto.

L’impiegato diede un’occhiata al passaporto, lo stampigliò, scarabocchiò sulla mia sacca senza aprirla. — Se decidete di fermarvi un po’ di più, vi offrirò acqua di fuoco. Ma non fidatevi del capitano Tormey. — Ce ne andammo.

Appena superata la barriera, Ian lasciò cadere i bagagli, alzò da terra una donna per i gomiti (una dimostrazione del suo eccellente stato fisico; lei era più bassa solo di una decina di centimetri) e la baciò con entusiasmo. Poi la rimise giù. — Jan questa è Marj.

(Se Ian aveva a casa quel bocconcino delizioso, perché sprecava tempo con le mie modeste doti? Perché io mi trovavo ad Auckland e lei no, senza dubbio. Ma adesso Ian era lì. Mia dolce signora, hai un buon libro da prestarmi?)

Janet mi baciò e mi sentii meglio. Poi, continuando a tenermi abbracciata, mi scostò un poco da sé. — Non la vedo. L’hai lasciata sulla nave?

— Lasciato cosa? Ho solo questa sacca. Il resto dei miei bagagli è al deposito automatico.

— No, tesoro, la tua aureola. Betty mi ha fatto capire che dovevo aspettarmi un’aureola.

Riflettei. — Sei sicura che abbia parlato di un’aureola?

— Be’, ha detto che sei un angelo. Forse sono balzata alle conclusioni.

— Forse. Non mi pare di aver avuto l’aureola, ieri sera. Non la porto mai, quando viaggio.

Il capitano Ian disse: — Esatto. Ieri sera lei portava solo una sbronza, una grossa sbronza. Tesoro, odio dirlo ma Betty ha avuto una pessima influenza. Deplorevole.

— Santo cielo! Allora è meglio fare subito un salto al gruppo di preghiera? Ti va, Marjorie? Tè e biscottini qui, e saltiamo la cena? L’intera congregazione pregherà per te.

— Come vuoi tu, Janet. — (Dovevo accettare? Non so che etichetta sia prevista per i «gruppi di preghiera».)

Il capitano Tormey disse: — Janet, forse è meglio portarla a casa e pregare per lei lì. Non credo che Marj sia abituata alla confessione pubblica dei peccati.

— Marjorie, preferisci così?

— Credo di sì. Grazie.

— Allora va bene. Ian vuoi chiamare Georges?

Georges era Georges Perreault. Per il momento non ebbi altre informazioni sul suo conto, a parte il fatto che guidava una pariglia di stalloni neri aggiogati a una carrozza Honda da ricconi. Che stipendio ha un capitano di Sb? Friday, non sono affari tuoi. Comunque era una vettura molto bella. E lo era anche Georges, a dire il vero. Bello, intendo. Alto, capelli scuri, abito scuro e cheppì; il ritratto del cocchiere perfetto. Ma Janet non lo presentò come un servo, e lui si chinò a baciarmi la mano. Un cocchiere fa il baciamano? Continuavo a incontrare usanze umane non previste dalla mia educazione.