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Quasi non vidi il signor Easterbrook infilare una mano nella giacca del completo da becchino, tirare fuori una ricetrasmittente e pronunciare un paio di parole. Mi accorsi solo che la musica veniva interrotta di colpo per lasciare di nuovo spazio all’hokey pokey. Zampa destra dentro, zampa destra fuori. I bambini mi seguirono a ruota, gli occhioni fissi su di me per non perdersi la mossa successiva e non restare indietro.

Nel giro di un attimo, ci ritrovammo tutti a ballare. I pivelli si unirono a noi e, credeteci o no, persino alcuni genitori. Mi spinsi a improvvisare un «coda lunga dentro, coda lunga fuori». Ridendo come matti, i miei piccoli amici si girarono, sculettando come se avessero avuto veramente la coda.

Sul finire della canzone, li invitai a seguirmi con un gesto plateale della zampa sinistra (tendendo così forte il filo che quasi strappai via quella fottuta appendice che mi ciondolava dal posteriore) e li guidai verso la Cuccia. Mi vennero dietro senza lamentarsi o frignare, quasi fossi stato il pifferaio di Hamelin. Non fu il giorno migliore della mia brillante carriera nei panni del Simpatico Howie (sì, proprio brillante,a costo di peccare di immodestia), ma ci andò vicino.

Quando i bambini si trovarono al sicuro, la piccola in gonna rosa ferma sulla soglia per salutarmi con la manina, mi voltai di scatto e, anche se ero immobile, tutto cominciò a girarmi attorno più veloce di prima.

Il sudore mi gocciolava negli occhi, facendomi vedere doppio. Barcollai sulle zampe posteriori. L’intero spettacolo, dal balletto d’esordio all’addio, era durato una decina di minuti al massimo, ma ero distrutto. Arrancai lungo la via del ritorno, senza la minima idea di che cosa mi aspettasse.

«Figliolo», mi chiamò qualcuno. «Vieni qui.»

Era il signor Easterbrook. Stava tenendo aperta una porta dietro al Pozzo dei Desideri,la tavola calda. Forse ero arrivato proprio da lì, troppo agitato e confuso per rendermene conto.

Mi fece entrare, chiuse l’uscio dietro di noi e abbassò la cerniera del costume. La pesantissima maschera di Howie mi scivolò dal capo e assaporai il meraviglioso refrigerio dell’aria condizionata. Brividi di freddo mi attraversarono la pelle, ancora bianca dopo i lunghi mesi invernali (non sarebbe rimasta tale a lungo). Respirai a pieni polmoni.

«Siediti sui gradini», mi suggerì lui. «Tra un secondo li avviserò di venirti a prendere, ma prima devi riacquistare fiato. I primi passi nelle vesti di Howie sono sempre difficili. La tua esibizione è stata particolarmente faticosa, ma straordinaria.»

«Grazie», biascicai a stento. Solo allora, lontano dal caldo e dalla confusione, mi resi conto che ero stato sul punto di crollare. «Grazie mille.»

«Se ti senti svenire, abbassa il capo.»

«No, no, ho solo un gran mal di testa.» Sfilai un braccio dalla tuta e mi asciugai la faccia grondante sudore. «Mi ha praticamente salvato la vita.»

«A luglio e agosto, quando l’umidità è alle stelle e la temperatura supera i trenta gradi, la pelliccia va indossata per non più di quindici minuti», continuò lui. «Se qualcuno cerca di vendertela diversamente, spediscilo dritto da me. Sarebbe anche una buona idea buttare giù un paio di compresse di sale. Vogliamo che voi ragazzi lavoriate sodo, ma non abbiamo intenzione di uccidervi.»

Si sfilò di tasca la ricetrasmittente, parlando a bassa voce e senza dilungarsi. Cinque minuti dopo, tornò il tipo di prima con il suo macinino, un paio di aspirine e una bottiglia di acqua ghiacciata, una vera benedizione. Nel frattempo Easterbrook mi si piazzò di fianco, sedendosi in cima alle scale che portavano giù al Corso con una cautela e una rigidità preoccupanti.

«Come ti chiami, figliolo?»

«Devin Jones, signore.»

«Ti hanno già soprannominato Jonesy?» Non aspettò che rispondessi. «Certo che sì, come in ogni fiera paesana che si rispetti, e in fondo il mio parco non è altro che questo, per quanto tirato a lucido. Un giorno quelli della Disney e di Knott’s Berry Farm si impadroniranno del mondo, ma forse qui non l’avranno vinta. A parte il caldo, ti sei divertito a indossare il costume per la prima volta?»

«Sì, mi è piaciuto.»

«Perché?»

«Perché alcuni bambini stavano piangendo, credo.»

Il vecchio sorrise. «E allora?»

«Prima o poi tuttisarebbero scoppiati in lacrime, ma sono riuscito a evitarlo.»

«Sì, ballando l’hokey pokey. Un lampo di genio. Come sapevi che avrebbe funzionato?»

«Non lo sapevo.» O forse sì, almeno in un certo senso.

Easterbrook sorrise di nuovo. «A Joyland gettiamo allo sbaraglio i nuovi arrivati, i pivelli, senza averli istruiti a dovere. Questo stratagemma incoraggia alcune persone più dotate di altre a comportarsi con spontaneità. È un particolare importante e di grande valore, per noi e per il nostro pubblico. Oggi hai imparato di te qualcosa che non conoscevi?»

«Oddio, non ne ho idea. Forse sì. Però… posso confessarle una stupidaggine, signore?»

«Tutto quello che ti passa per la testa.»

Esitai per un istante e alla fine decisi di prenderlo in parola. «Costringere i bambini a restare chiusi in una specie di giardino d’infanzia, per di più dentro un parco giochi, mi sembra una… una cattiveria.» Poi mi affrettai ad aggiungere: «Anche se la Borgata Incantata è molto, molto divertente».

«Devi capire, figliolo, che a Joyland siamo appena appena in attivo.» Mise pollice e indice quasi accostati per spiegarsi meglio. «Se i genitori sanno che ci occuperemo dei loro marmocchi, anche solo per un paio d’ore, allora si portano dietro l’intera famiglia. Se fossero costretti a pagare una babysitter, forse non verrebbero del tutto, e il nostro margine di profitto sparirebbe. Non hai torto, ma pure io ho le mie ragioni. Molti di questi bambini non hanno mai messo piede in un posto così. Resterà impresso nelle loro testoline, proprio come il loro primo film o il primo giorno di scuola. Grazie a te, non si ricorderanno di avere pianto dopo essere stati abbandonati per un po’ da mamma e papà, ma di avere ballato l’hokey pokey con il Simpatico Howie, apparso dal nulla come per magia.»

«Probabilmente sì.»

Easterbrook allungò la mano, non per sfiorare me ma per accarezzare il pelo del costume con le dita nodose mentre continuava a parlare. «Ai parchi della Disney tutto è programmato. Lo trovo disgustoso. Disgustoso.Secondo me giù a Orlando spacciano divertimento come se fosse droga. A me piace l’improvvisazione e talvolta mi capita di notare un genio in questo campo. Potresti essere tu. Troppo presto per esserne sicuri ma, sì, esiste questa probabilità.» Si appoggiò le mani sulle reni e si stiracchiò, sprigionando una serie di schiocchi assordanti. «Ti spiace se ti faccio compagnia fino al pulciaio? Per oggi ho preso abbastanza sole.»

«Il mio trabiccolo è il suo trabiccolo.» Che poi era la pura verità, visto che era lui il proprietario di Joyland.

«Penso che quest’estate indosserai spesso la pelliccia. Molti ragazzi la considerano una seccatura o addirittura una punizione. Non credo che per te sarà così.»

Non si sbagliava. Da allora ho avuto parecchi lavori; quello attuale da caporedattore è fantastico, probabilmente l’ultimo prima di finire tra le grinfie della pensione. Però, non mi sono mai sentito così a mio agio o stranamente felice come a ventun anni, ballando l’hokey pokey con il costume di Howie in una calda mattinata di giugno.

Merito dell’improvvisazione, signori miei.

Dopo quell’estate restai amico di Erin e Tom, e continuo a rimanere in contatto con la mia rossa preferita, ormai soprattutto via email, Facebook o pranzando ogni tanto insieme a New York. Non ho mai incontrato il suo secondo marito. Lei mi assicura che è una brava persona e io le credo. Perché non dovrei? Dopo essere stata sposata al migliore per diciotto anni, non potrebbe mai essersi scelta uno stronzo, non con una simile pietra di paragone.