Lois McMaster Bujold
Il gioco dei Vor
A mia madre.
E a Charles Marshall, che desidero ringraziare per i suoi resoconti di prima mano sull'ingegneria artica, ed a William Megaard per i commenti sulla strategia bellica.
PRESENTAZIONE
Nelle sue opere, Lois McMaster Bujold ci parla dei dilemmi etici dell'umanità, mascherandoli sotto le vestigia dell'epica spaziale. È una propensione che ci permette di inserirla nella terza generazione di scrittori che discende dagli autorevoli fondatori della space opera, fra cui spiccano E. E. «Doc» Smith, Jack Williamson, John W. Campbell e Isaac Asimov. E infatti la Bujold, insieme ad altri autori emergenti, riesce assai bene a rinverdire i fasti di questo tipico scenario della fantascienza.
Le scrittrici con una spiccata predilezione per l'avventura spaziale non sono un fenomeno recente: la carriera di Leigh Brackett, una delle prime importanti autrici di space opera, copre un arco di tempo molto ampio, dagli anni '40 agli anni '70, spingendosi fino alla recente sceneggiatura per L'Impero colpisce ancora; le prime opere di C. L. Moore sono addirittura anteriori, e ad esse sono poi seguite quelle di Andre Norton, mentre Anne McCaffrey, Ursula K. Le Guin, Marion Zimmer Bradley e Vonda N. Mclntyre sono le immediate eredi di questa tradizione. Dal canto suo, C. J. Cherryh ha aperto non solo una via, ma addirittura una superstrada, sulla quale si sono avviate la stessa Bujold, oltre a scrittrici come Pamela Sargent, Janet Kagan, Elizabeth Moon, R. M. Meluch, Emma Bull, e molte altre. Si ha l'impressione che quando le donne scelgono di scrivere narrativa spaziale, sfruttino il genere per molteplici scopi, oltre che per quello dell'avventura a sfondo mitico, ma è anche vero che esse accettano le regole del gioco senza commettere l'errore di indebolire la struttura portante delle loro storie, che è appunto la dimensione avventurosa.
Ed è questo anche il caso della Bujold. L'epica spaziale si costruisce su quello che Williamson definisce "il mito centrale della fantascienza": nello stesso modo in cui la guerra di Troia fornì ai Greci lo sfondo per raccontare le proprie origini e i propri valori culturali, così i racconti e i romanzi sulla conquista dello spazio narrano ai lettori di fantascienza le aspirazioni e le possibilità della razza umana. La forma epica di questi racconti celebra le eroiche imprese dell'umanità, rivolte a sottomettere quell'universo ostile che circonda un'accogliente oasi chiamata Terra.
Ogni opera si innesta in una diversa fase di questo mito. I romanzi di "Skylark" di E. E. Smith, per esempio, privilegiano i progressi del volo spaziale, mentre la trilogia della "Fondazione" di Asimov è situata nell'ultimo periodo di un futuro impero galattico, allorché l'umanità si è ormai dimenticata delle proprie origini terrestri. Gli autori che decidono di affrontare i vari aspetti sociali e politici tendono a situare le loro storie di colonizzazione interstellare dopo che i contatti con la Terra si sono perduti, quando ormai i singoli insediamenti hanno sviluppato culture e sistemi politici diversi da quelli originari. Nel momento in cui le varie colonie tentano faticosamente di ristabilire qualche contatto fra loro, emerge un conflitto fra i diversi valori di cui esse sono portatrici.
Questa è la fase in cui la Bujold ha scelto di ambientare i suoi romanzi. Gli esseri umani hanno colonizzato le stelle, ma da secoli non vi è più alcun contatto fra loro; nel caso di Barrayar, un "corridoio" nello spazio si è chiuso senza preavviso. Dal momento che proprio quel corridoio permetteva di viaggiare a velocità superiori a quella della luce, Barrayar ha dovuto affrontare una dura lotta per ricostruire la propria civiltà. Nello stesso modo in cui si suppone che l'embrione umano riassuma in sé le fasi dell'evoluzione della razza, così le colonie umane possono riassumere le fasi della civiltà. Ma c'è una differenza. Infatti, nonostante Asimov si sia largamente ispirato a Il declino e la caduta dell'impero romano, il suo impero galattico non è solamente una versione su vasta scala dell'impero romano; certo, la struttura è quella, con distanze misurate su scala interstellare invece che geografica e con un intero pianeta come centro di governo al posto di una città, ma nell'impero galattico di Asimov c'è un elemento in più: la psicostoria, ovvero una sorta di preveggenza basata sulla ragione e sul metodo scientifico per abbreviare la durata di un imminente medioevo. Allo stesso modo, i mondi di Urras e Anarres ne I reietti dell'altro pianeta di Ursula K. Le Guin non rappresentano semplicemente gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, qui separati dal vuoto dello spazio: Anarres possiede un anarchismo che funziona, a dispetto di un ambiente desolato e inospitale, mentre Urras ha sviluppato un capitalismo in crisi di abbondanza; Shevek, che deve tentare di unire i due mondi, e un geniale scienziato con uno strumento in grado di stabilire una comunicazione istantanea ad anni-luce di distanza, l'ansible.
In un articolo intitolato "Allegorie del mutamento", la Bujold ha osservato che nella fantascienza «le vicende che raccontiamo parlano di noi stessi». Ma i barrayarani non cercano soltanto di ripristinare una forma di governo stabile (in questo caso, una monarchia costituzionale) nonostante la sottomissione a un potere esterno, e a dispetto della guerriglia strisciante, di conflitti feudali e intrighi di palazzo. C'è tutto questo, certamente, ma sullo sfondo di un progresso tecnologico avanzato, con astronavi e armi sofisticate, ma soprattutto con la memoria del passato, piena di successi e di fallimenti.
Inoltre, non hanno i nostri stessi problemi: infatti, i loro pregiudizi si rivolgono non solo agli abitanti di altri sistemi planetari, ma anche all'interno del loro stesso impero, alle mutazioni create dalle bombe atomiche e dal passaggio attraverso i corridoi spaziali. Ci sono intrighi su vasta scala, come nell'Italia del Rinascimento (ma senza il Vaticano), e bande mercenarie che scorrazzano tutt'intorno con intere flotte di astronavi, pronte a vendersi al miglior offerente… sempre che vi siano sufficienti garanzie di salvare la pelle per godersi la paga.
È precisamente in questa situazione che si ritrova ad agire Miles Vorkosigan, il fragile e minuto figlio dell'ex reggente di Barrayar, ora diventato primo ministro, e nipote di colui che liberò il pianeta dall'occupazione cetagandana. Miles era già l'eroe del secondo romanzo della Bujold, The Warrior's Apprentice, pubblicato nel 1986, appena un anno dopo il suo racconto d'esordio, "Barter", apparso sulla rivista Twilight Zone (il primo romanzo dell'autrice, Shards of Honor apparve anch'esso nel 1986). Il problema di Miles è che, nonostante il suo handicap fisico (dovuto a una menomazione subita nel grembo materno, durante un attentato ai danni dei genitori), la sua mente è molto più brillante e veloce di tutte quelle che gli stanno attorno. Ma un conto è sapere che cosa si dovrebbe fare in ogni situazione, un altro è riuscire a farlo. Miles ha bisogno dell'aiuto degli altri e questo significa dover lottare contro la burocrazia, la tradizione, l'incompetenza e la natura umana; ma c'è un fatto a rendere ancora più difficile la sua posizione, perché Miles capisce perfettamente che non si può prescindere dalla burocrazia e dalla tradizione, e inoltre che l'incompetenza e la natura umana sono fattori ineliminabili.
Sono pochi gli eroi come Miles nella letteratura di fantascienza; forse si possono ricordare, per gli handicap fisici, Waldo F. Jones in "Waldo" di Heinlein e, in termini di irrilevanza fisica, il "Mulo" di Asimov, anche se questi possiede la singolare abilità di controllare le emozioni altrui. Miles invece deve combattere contro l'atteggiamento degli altri nei suoi confronti. In questo senso, si trova nella posizione di chi sa come risolvere i problemi, ma è troppo giovane o non ha voce in capitolo per guadagnarsi il rispetto del sistema. Questo fatto permette ai romanzi di Miles Vorkosigan (tra cui Brothers in Arms e le tre novelle pubblicate in Borders of Infinity) di funzionare perfettamente anche come romanzi per ragazzi.