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Durante la notte si ricordò del carro che era apparso con lei nel sito della transizione: forse il castaldo avrebbe potuto aiutarla a ripararlo e Rosemund avrebbe viaggiato su di esso. Accesa una torcia ai carboni ardenti del fuoco, sgusciò nella stalla per dare un'occhiata al veicolo. L'asino di Padre Roche ragliò quando aprì la porta e intorno si sentì un frusciare che si sparpagliava in tutte le direzioni non appena sollevò la torcia fumosa.

Le casse fracassate erano ammucchiate contro il carro come una barricata, e una volta che le ebbe spostate lei si accorse che la sua idea non avrebbe mai funzionato perché il veicolo era troppo pesante per poter essere tirato dall'asino e perché l'assale di legno era sparito, portato via da qualche anima intraprendente per riparare una staccionata o per usarlo come legna da ardere o magari come feticcio per tenere a bada la peste.

Quando uscì il cortile era immerso nel buio più totale e le stelle erano nitide e scintillanti come lo erano state alla vigilia di Natale. Ripensò ad Agnes addormentata contro la sua spalla, alla campanella legata al suo piccolo polso e al suono delle campane che scandivano i rintocchi del diavolo. Prematuramente, pensò. Il diavolo non è ancora morto, è in giro per il mondo.

Rimase sveglia a lungo cercando di elaborare un altro piano, forse avrebbero potuto fabbricare una sorta di lettiga che l'asino fosse in grado di trascinare se la neve non era troppo profonda, oppure avrebbero potuto caricare i due bambini sull'animale e portare i bagagli in fagotti sulla schiena.

Alla fine si addormentò solo per essere risvegliata quasi immediatamente… o almeno così le parve. Era ancora buio, e Roche era chino su di lei, con la luce del fuoco morente che gli rischiarava il viso dal basso come aveva fatto nella radura quando lo aveva creduto un tagliagole; ancora in parte addormentata, Kivrin si protese a posargli con gentilezza una mano su una guancia.

— Lady Katherine — chiamò il prete, e Kivrin si svegliò del tutto.

Si tratta di Rosemund, pensò, girandosi a guardarla, ma la ragazza stava dormendo tranquilla con la mano sotto la guancia.

— Cosa c'è? — domandò. — Stai male?

Lui scosse il capo, poi aprì la bocca ma la richiuse senza dire nulla.

— È arrivato qualcuno? — insistette Kivrin, alzandosi in piedi.

Di nuovo Roche scosse il capo.

Non è possibile che qualcuno si sia ammalato, perché non resta più nessuno, rifletté lei, poi guardò verso il mucchio di coperte vicino alla porta su cui dormiva il castaldo e si accorse che lui non c'era.

— Il castaldo è malato? — insistette.

— Suo figlio è morto — replicò il prete, con uno strano tono di voce stordito, e lei si accorse che anche Lefric era scomparso. — Sono andato in chiesa per il mattutino… — continuò Roche, ma la voce gli venne meno. — Devi venire con me — concluse, e uscì a grandi passi.

Kivrin afferrò la propria lacera coperta e si affrettò a seguirlo nel cortile.

Non potevano essere più delle sei del mattino. Il sole si era appena alzato sull'orizzonte e chiazzava di rosa il cielo nuvoloso e la neve. Più avanti Roche stava già scomparendo lungo lo stretto passaggio che portava alla piazza e Kivrin gli corse dietro dopo essersi gettata la coperta sulle spalle.

La mucca del castaldo era ferma nel passaggio, con la testa infilata in una breccia nella staccionata e intenta a brucare la paglia; quando la vide sollevò la testa e muggì.

— Via! — esclamò lei, battendo le mani per spaventarla, ma la bestia si limitò a ritrarre la testa dalla staccionata e ad avanzare verso di lei continuando a muggire.

— Non ho il tempo di mungerti — disse Kivrin, spingendola da parte e oltrepassandola.

Padre Roche era già a metà della piazza quando infine lo raggiunse.

— Cosa c'è? Non puoi dirmelo? — domandò, ma lui non si fermò e non la guardò neppure, svoltando invece lungo la fila di tombe scavate sulla piazza. Con un senso di sollievo Kivrin si disse che probabilmente il castaldo stava cercando di seppellire il figlio da solo, senza la presenza del prete.

La piccola tomba era già stata riempita e la terra innevata ammucchiata su di essa, e inoltre l'uomo aveva finito la tomba di Rosemund e ne aveva scavata un'altra più grande da cui sporgeva la pala, appoggiata ad un lato.

Roche non andò verso la tomba di Lefric ma si fermò invece accanto a quella più grande.

— Sono andato in chiesa per il mattutino… — ripeté con la stessa voce stordita, e Kivrin guardò nella tomba.

A quanto pareva, il castaldo aveva cercato di seppellirsi da solo con la pala, ma dal momento che la cosa risultava difficile nello spazio ristetto l'aveva appoggiata in un angolo e aveva cominciato a tirarsi addosso la terra con le mani… ne stringeva ancora una grossa zolla fra le dita irrigidite.

Le gambe erano quasi coperte di terra, e questo gli dava un aspetto indecente, come se fosse stato adagiato nella vasca da bagno.

— Dobbiamo seppellirlo come si deve — disse Kivrin, allungando la mano verso la pala, ma Roche scosse il capo.

— Questo è terreno consacrato — replicò con voce stordita, e soltanto allora lei comprese che il prete era convinto che il castaldo si fosse ucciso.

Non ha importanza, pensò, e si rese conto che nonostante tutto, nonostante gli orrori che si erano susseguiti agli orrori, Roche credeva ancora in Dio. Stava andando in chiesa per il mattutino quando aveva trovato il castaldo, e se anche loro fossero morti tutti lui avrebbe continuato a farlo senza trovare nulla di assurdo nelle sue preghiere.

— Lo ha ucciso la malattia — affermò, pur non sapendo se fosse vero o meno. — La forma setticemica, che infetta il sangue.

Roche la guardò senza capire.

— Si deve essere ammalato mentre scavava le tombe — continuò lei. — La peste setticemica avvelena il cervello e infetta il sangue.

— Come è successo a Lady Imeyne — commentò lui, sembrando quasi contento.

Kivrin capì che nonostante le sue convinzioni religiose non voleva dover seppellire il castaldo in terreno sconsacrato.

Lo aiutò a raddrizzare un poco il corpo del morto, anche se era già irrigidito, ma non tentarono di muoverlo o di avvolgerlo in un sudario. Roche gli depose un panno nero sulla faccia poi fecero a turno per coprirlo di terra, le cui zolle ghiacciate cadevano rumorosamente come sassi.

Roche non andò in chiesa per prendere le vesti cerimoniali e il messale, ma si limitò a sostare accanto alla tomba di Lefric e a quella del castaldo per recitare le preghiere dei morti, e mentre stava accanto a lui con le mani giunte, Kivrin si disse che il castaldo doveva essere impazzito. Aveva seppellito sua moglie e i suoi sei figli, ed anche quasi tutti coloro che conosceva… anche ammesso che non fosse stato in preda al delirio e che fosse strisciato nella tomba per aspettare di morire congelato, era comunque stata la peste ad ucciderlo.

Non merita la sepoltura di un suicida, pensò. Non merita proprio di essere seppellito. Sarebbe dovuto venire in Scozia con noi. L'improvviso senso di gioia che provò la lasciò sconvolta e inorridita.

Guardando la tomba che l'uomo aveva scavato per Rosemund si disse che adesso potevano andare in Scozia. Rosemund avrebbe cavalcato il mulo mentre lei e Roche avrebbero trasportato il cibo e le coperte. Aprendo gli occhi guardò il cielo: ora che il sole era sorto le nubi apparivano meno pesanti, come se intendessero dissolversi verso metà mattinata. Se fossero partiti quella mattina avrebbero potuto essere fuori della foresta entro mezzogiorno e arrivare alla strada fra Oxford e Bath. Entro quella sera avrebbero potuto raggiungere la strada per York.

— Agnus dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem — recitò Roche.

Dobbiamo prendere l'avena per il mulo e un'ascia per tagliare la legna, e delle coperte, rifletté Kivrin. Roche intanto concluse la preghiera.