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La serratura del cancello si aprì e Dunworthy lo spinse quanto bastava per passare.

— Porti le chiavi con sé — disse. — Ho bisogno che apra il laboratorio.

— Quella chiave non è fra queste — replicò il portiere, e scomparve di nuovo nel casotto.

Il gelo era intenso sotto il passaggio delle porte e la pioggia vi penetrava di traverso, ancora più fredda. Dunworthy si strinse contro il muro vicino alla porta del gabbiotto nel tentativo di intercettare parte del calore dell'interno e piantò con forza le mani contro il fondo delle tasche dei pantaloni per smettere di tremare.

Si era preoccupato dei ladri e dei tagliagole e per tutto quel tempo lei si era trovata nel 1348, quando la gente aveva ammucchiato i morti per strada e sulla spinta del panico aveva bruciato sul rogo ebrei e stranieri.

Si era preoccupato che Gilchrist non avesse effettuato i controlli dei parametri, si era preoccupato a tal punto che la sua ansia aveva contagiato Badri e lui, già febbricitante, aveva reinserito le coordinate. Così preoccupato.

All'improvviso si rese conto che il portiere era assente da troppo tempo, segno che stava avvertendo Gilchrist, e accennò a muoversi verso la porta del casotto, ma in quel momento il portiere ne venne fuori munito di ombrello. Lanciando un'esclamazione a proposito del freddo, l'uomo offrì riparo a Dunworthy sotto il proprio ombrello.

— Sono già fradicio — replicò questi, e si avviò a grandi passi attraverso il cortile.

La porta del laboratorio era coperta da uno striscione di plastica gialla che lui strappò via mentre il portiere cominciava a cercare la chiave della porta.

— Ancora non sono convinto che dovrei aprire la porta del laboratorio senza l'autorizzazione del Signor Gilchrist — disse.

— Signor Dunworthy! — gridò Colin dal centro del cortile, e mentre i due uomini sollevavano lo sguardo li raggiunse di corsa, fradicio fino all'osso e con il libro sotto il braccio, avvolto nella sciarpa. — Non… ha… colpito… parti dell'Oxfordshire… fino a… marzo — ansimò, fermandosi fra una parola e l'altra per riprendere fiato. — Scusi. Ho… corso… per tutta… la strada.

— Quali parti? — chiese Dunworthy.

Colin gli consegnò il libro e si chinò in avanti con le mani puntellate sulle ginocchia, traendo respiri profondi e rumorosi.

— Non… lo… dice.

Dunworthy svolse la sciarpa e aprì il libro alla pagina che Colin aveva piegato, ma i suoi occhiali erano troppo schizzati di pioggia perché potesse leggere e inoltre le pagine aperte si inzupparono immediatamente.

— Dice che la peste è cominciata a Melcombe e si è spostata a nord fino a Bath e poi ad est — sintetizzò Colin. — Dice che è arrivata ad Oxford a Natale e a Londra l'ottobre successivo, ma che in parti dell'Oxfordshire non è arrivata che nella tarda primavera e che alcuni villaggi sono stati risparmiati fino a luglio.

— Il che non ci rivela nulla — commentò Dunworthy, fissando le pagine illeggibili.

— Lo so — ammise Colin, raddrizzandosi anche se aveva ancora il respiro affannoso, — ma almeno non c'è scritto che la peste si è diffusa in tutto l'Oxfordshire entro Natale. Forse lei è in uno di quei villaggi dove non è arrivata fino a luglio.

Dunworthy asciugò le pagine umide con la sciarpa penzolante e chiuse il libro.

— Da Bath la peste si è postata verso est — mormorò in tono sommesso. — Skendgate è appena a sud rispetto alla strada fra Oxford e Bath.

Intanto il portiere aveva finalmente scelto una chiave e la spinse nella serratura.

— Ho chiamato di nuovo Andrews, ma non ho avuto risposta.

Il portiere aprì il battente.

— Come farà a far funzionare la rete senza un tecnico? — chiese Colin.

— Far funzionare la rete? — domandò il portiere, con la chiave ancora in mano. — Avevo capito che lei voleva ottenere dei dati dal computer, Il Signor Gilchrist non le permetterà di mettere in funzione la rete senza autorizzazione.

E tirò fuori la supposta autorizzazione di Basingame, esaminandola ancora.

— Autorizzo io la cosa — ribatté Dunworthy, oltrepassandolo ed entrando nel laboratorio.

L'uomo accennò a seguirlo, si impigliò con l'ombrello nell'intelaiatura della porta e annaspò sull'impugnatura in cerca della chiusura automatica.

Colin si abbassò per schivare l'ombrello e seguì Dunworthy.

Gilchrist doveva aver disattivato il riscaldamento perché il laboratorio era appena più caldo dell'esterno, ma gli occhiali bagnati di Dunworthy si velarono lo stesso subito di vapore e lui fu costretto a toglierli e a cercare di pulirli contro la giacca fradicia.

— Prenda — offrì Colin, offrendogli un rotolo di carta morbida. — È carta igienica, la sto raccogliendo per il Signor Finch. Il problema è che sarà già abbastanza difficile trovare la ragazza se arriviamo nel punto giusto, e lei ha detto che ottenere lo stesso tempo e luogo è spaventosamente complicato.

— Abbiamo già tempo e luogo esatti — spiegò Dunworthy, asciugando gli occhiali con la carta. Quando li rimise erano ancora appannati.

— Adesso temo di dovervi chiedere di andare via — intervenne il portiere. — Non vi posso permettere di entrare qui senza che il Signor Gilchrist…

S'interruppe.

— Oh, dannazione — borbottò Colin. — È il Signor Gilchrist.

— Cosa significa tutto questo? — esplose Gilchrist. — Cosa ci fate qui?

— Intendo riportare indietro Kivrin — dichiarò Dunworthy.

— Sulla base di quale autorità? — controbatté Gilchrist. — Questa è la rete di Brasenose e lei è colpevole di ingresso illegale. Le avevo dato ordine di non permettere l'ingresso al Signor Dunworthy — aggiunse, rivolto al portiere.

— Il Signor Basingame ha dato l'autorizzazione — obiettò questi, esibendo il pezzo di carta bagnato.

Gilchrist glielo strappò di mano.

— Basingame! — escalmò, abbassando lo sguardo su di esso. — Questa non è la firma di Basingame. Ingresso illegale e adesso contraffazione. Signor Dunworthy, ho intenzione di presentare una denuncia contro di lei, e quando il Signor Basingame tornerà lo informerò del suo…

Dunworthy avanzò di un passo verso di lui.

— E io intendo informare il Signor Basingame di come il suo Sostituto abbia rifiutato di sospendere una transizione, abbia intenzionalmente messo in pericolo uno storico, abbia rifiutato il permesso di accedere a questo laboratorio e abbia di conseguenza reso impossibile stabilire la locazione temporale dello storico in questione — inveì, accennnado con un braccio alla consolle. — Sa cosa dice la verifica dei dati? Quella verifica che per dieci giorni un mio tecnico non ha potuto decifrare per un divieto da lei imposto soltanto a causa di una manica di imbecilli, lei incluso, che non capiscono niente dei viaggi nel tempo? Lo sa cosa dice? Kivrin non è nel 1320 ma nel 1348, nel bel mezzo della Morte Nera! Ed è là da due settimane — continuò, girandosi per indicare gli schermi. — Questo a causa della sua stupidità, a causa…

S'interruppe.

— Lei non ha il diritto di parlarmi in questo modo — protestò Gilchrist, — così come non ha il diritto di stare in questo laboratorio. Esigo che se ne vada.

Invece di rispondere Dunworthy avanzò di un passo verso la consolle.

— Chiami il responsabile della sorveglianza — ordinò Gilchrist al portiere. — Voglio che li butti fuori.

Lo schermo era non soltanto vuoto ma anche buio, e così pure le luci di funzionamento sopra la consolle, e l'interruttore della corrente era abbassato.

— Lei ha tolto la corrente — disse Dunworthy, con voce che suonava vecchia e stanca quanto quella di Badri, poco prima. — Ha disattivato la rete.

— Sì — confermò Gilchrist, — ed è un bene che lo abbia fatto, visto che lei pensa di avere il diritto di fare irruzione qui senza autorizzazione.

— Ha disattivato la rete — ripeté Dunworthy, protendendo alla cieca una mano verso lo schermo spento e barcollando un poco.